Bce di Draghi e indici PMI di Francia e Germania zavorrano euro fin sotto $1,13. Ora si aspetta la Fed
Continua anche oggi l’effetto ribassista delle dichiarazioni di Mario Draghi sull’euro. In quella che è stata l’ultima conferenza stampa del 2018, il numero uno della Bce ha confermato lo stop al piano di Quantitative easing alla fine di questo mese, confermandosi tuttavia dovish. Draghi ha detto infatti che il QE fa parte ormai degli strumenti permanenti dell’arsenale della banca centrale, e più volte ha parlato della necessità che la politica monetaria rimanga accomodante.
Queste dichiarazioni, unite al taglio delle stime sull’inflazione del 2019 e sulla crescita del Pil del 2018 e del 2019 hanno depresso immediatamente l’euro, che nella sessione della vigilia ha perso fino a 40 pip nei minimi intraday.
Oggi la discesa continua, alimentata dall’ennesima carrellata di notizie negative che arrivano dal fronte macroeconomico dell’Eurozona, che lasciano pensare che difficilmente, in queste condizioni di evidente indebolimento e secondo alcuni anche di rischio recessione, la Bce di Mario Draghi potrà rinunciare ai suoi strumenti straordinari di stimoli monetari.
Già c’è qualcuno che prevede che il QE, ormai arma finanziaria permanente che l’Eurotower potrà tornare a risfoderare in qualsiasi momento, verrà ben presto riestratta dal cassetto provvisorio in cui è stata riposta.
L’euro ha bucato così la soglia di $1,13, cedendo nei confronti del dollaro più di mezzo punto percentuale. Sullo yen, arretra di oltre lo 0,60%, a JPY 128,26.
Evidente la preoccupazione per i dati diffusi in giornata, com gli indici PMI della Francia scesi addirittura sotto la soglia dei 50 punti, linea di demarcazione tra fase di espansione (valori al di sopra) e di contrazione (valori al di sotto) Deludenti anche i dati del Pmi manifatturiero e dei servizi della Germania: stesso copione nel caso dell’ intera Eurozona, , mentre il Pmi italiano è migliorato, in un’Europa che però oggi deve fare i conti anche con i numeri negativi arrivati dal settore automobilistico.
Insomma, nessun assist per ora per l’euro, mentre l’attenzione a questo punto si sposta sull’ultima riunione dell’anno del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, prevista per i prossimi 18 e 19 dicembre.
In realtà, guardando al prossimo anno, gli analisti sono cauti sia sulla probabilità di un rialzo dei tassi in Eurozona che a nuove strette monetarie in Usa da parte della Fed.
Cautela simile anche da parte dei mercati, se si considera che i futures sui mercati monetari dell’Eurozona scommettono ora su un rialzo dei tassi da parte della Bce, nel 2019, con una probabilità del 60%, in forte flessione rispetto al 75% di probabilità della giornata di ieri.
Nel caso del dollaro, la valuta tiene sulla scia delle aspettative di un rialzo dei tassi la prossima settimana. I guadagni sono però frenati dal dubbio su cosa faranno Jerome Powell & Co il prossimo anno. Il 19 dicembre la Fed dovrebbe comunque annunciare, secondo le attese, un nuovo rialzo dei tassi di 25 punti base, alzando così il costo del denaro Usa per la quarta volta nel 2018.
Il dollaro si appresta, proprio sulla scia della politica monetaria della Fed, decisamente più restrittiva rispetto a quella di tante altre banche centrali, la valuta migliore tra quelle principali, con un rialzo del 5,3% dall’inizio dell’anno.