Argentina alla resa dei conti fra rischio default e ristrutturazione del debito
Il risultato delle elezioni presidenziali in Argentina ha dipanato ogni dubbio sul governo che sarà nei prossimi quattro anni. Una incertezza in meno per chi investe a Buenos Aires. L’esito del voto non ha causato quel crollo dei mercati che c’è stato a fine agosto con il risultato delle primarie, anche perché i mercati avevano già scontato quanto sarebbe uscito dalle urne.
Argentina, una vittoria a metà per Fernandez
Ha vinto Alberto Fernandez che ha suggellato il ritorno dei peronisti alla Casa Rosada, ma non in maniera così schiacciante come si pensava alla vigilia. Il movimento “Cambiemos” di Mauricio Macrì, presidente uscente, ha infatti ottenuto 2 milioni di voti in più rispetto alle primarie, cosa importante, ha la maggiorana al Congresso e nella città di Buenos Aires. “Questo – come sottolinea Verena Wachnitz, gestore del fondo T. Rowe Price Latin America – ridurrà il rischio di assistere a sviluppi estremi come cambiamenti alla costituzione. Così come sembra essere diminuito il rischio di una transizione disordinata. La Banca Centrale Argentina (BCRA – Banco Central de la República Argentina) ha già imposto controlli più stingenti sul capitale, e gli sforzi volti a implementare tali misure prima dell’effettivo cambiamento al Governo il 10 dicembre, sono già cominciati”.
“Nonostante ciò – prosegue Wachnitz – si tratta di un risultato elettorale negativo per le politiche di breve termine. Il conflitto interno tra Kirchner (che sarà vicepresidente) e Fernandez potrebbe limitare i tentativi di perseguire un percorso economico più ortodosso e probabilmente assisteremo a un mix di politiche come il controllo sui capitali, un aggiustamento fiscale limitato, tasse sull’export più elevate, monetizzazione, controlli sul rapporto tra prezzi e salari e default o rinegoziazione del debito”.
Argentina tornano i timori di default
Ciò premesso, gli investitori sono tornati a puntare i riflettori sul debito argentino che è nuovamente sull’orlo del default. Come noto, il Fondo Monetario Internazionale ha atteso l’esito delle elezioni prima di intraprendere nuovi negoziati con Buenos Aires per erogare la nuova tranche di prestiti da 5,4 miliardi di dollari scaduta a settembre a valer su un più ampio programma di finanziamento che ammonta a 57 miliardi. Date le difficoltà economiche e finanziarie del Paese, il FMI aveva anche chiesto all’Argentina di predisporre un piano di rientro dai debiti a partire dal prossimo anno. Cosa ardua da attuare con un Pil che è sceso del 7% negli ultimi due anni, la valuta locale che si è svalutata dell’80% da inizio 2018 e con un tasso di disoccupazione a livelli record, al punto che gli esperti di Wells Fargo ritengono che l’Argentina andrà in default nel primo trimestre del 2020.
Il prezzo dei bond governativi argentini e delle province pare indicare questo scenario, anche se sono in molti a ritenere che il Paese, sotto la nuova guida presidenziale di Fernandez, farà di tutto per trattare una ristrutturazione amichevole del debito evitando lo scenario apocalittico del 2001. I titoli di stato prezzano ormai tutti intorno a quota 40, scontando lo scenario che le stesse autorità argentine avevano indicato e concordato con il FMI a fine agosto, cioè quello di allungare la maturità dei titoli senza interrompere il pagamento degli interessi. Una proposta che potrebbe trovare il gradimento degli investitori internazionali solo se vi fosse la promessa di non intaccare il valore nominale dei titoli (haircut). Via maestra anche per non pregiudicarsi l’accesso ai finanziamenti internazionali evitando così il nono default della storia dell’Argentina.