Alitalia e Pop Bari: le croci tutte italiane che si rinnovano nel 2020. E quei bond che nessuno voleva
Per il governo M5S-PD le nuove-vecchie croci del 2020 saranno, almeno all’inizio, i dossier Pop Bari e Alitalia. (e, ovviamente, anche Ilva). Non per niente nelle prossime ore, alla Camera dei deputati, andranno in scena le audizioni sulla banca barese e sulla compagnia aerea, il cui destino, tanto per cambiare, si conferma a dir poco nebuloso.
In particolare, l’audizione su Alitalia si svolgerà presso la Commissione Trasporti della Camera: a parlare saranno i dirigenti di Lufthansa, il commissario Giuseppe Leogrande e la ministra dei Trasporti Paola De Micheli. Domani, invece, mercoledì 8 gennaio, ripartirà l’iter di conversione del decreto per Pop Bari, con le audizioni presso la commissione Finanze alla Camera dei sindacati, dei funzionari di Consob e Bankitalia. Venerdì il dossier sarà affrontato dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri.
Proprio oggi il Sole 24 Ore comunica i dati – che ha acquisito in via riservata – sull’ennesimo buco dei conti di Alitalia.
Così si legge nel quotidiano di Confindustria:
“Nei primi nove mesi del 2019 Alitalia ha accumulato perdite della gestione industriale pari a quelle dell’intero 2018. Il margine operativo lordo (Mol) dei nove mesi è negativo, pari a -114 milioni, rispetto ai -120 milioni dell’intero 2018. Il risultato emerge dai dati economico-finanziari relativi al periodo gennaio – settembre 2019 trasmessi dalla compagnia all’Enac il 14 novembre scorso. Sono dati riservati, di cui Il Sole 24 Ore ha preso visione”.
Ma alla Camera si parlerà anche dell’altra non proprio nuova gatta da pelare Pop Bari, di cui il governo giallorosso ha deciso di prendersi cura con un decreto ad hoc, nonostante il nome del decreto stesso abbia un’accezione più generica: “Misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento”.
Ricordiamo che, “in base al decreto verrà disposto un aumento di capitale che consentirà a MCC, insieme con il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) e ad eventuali altri investitori, di partecipare al rilancio della Banca Popolare di Bari (BPB), confermando così la determinazione del Governo nel tutelare i risparmiatori, le famiglie, e le imprese supportate dalla BPB”.
Mediocredito e di nuovo, come nel caso di Banca Carige, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), saranno i registi dell’operazione. In che modo? Attraverso quel decreto che stanzia «fino a 900 milioni» per la Banca Popolare di Bari”.
Sempre il Sole 24 Ore riporta oggi sul caso Pop Bari le parole di un banchiere che, dei retroscena dell’istituto pugliese, ne sa parecchio.
E’ “Gianluigi Torzi, 40 anni, banker italiano a Londra, fondatore del Lighthouse Group che controlla attraverso il Fint Trust, da 20 anni nella capitale inglese prima come broker poi come esperto di corporate finance, investment banking e real estate. Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 – spiega il quotidiano – Torzi diventa uno snodo cruciale in due distinte operazioni finanziarie che si dipanano tra Italia, Gran Bretagna, Lussemburgo, Malta e Vaticano: il tentativo di salvataggio della banca Popolare di Bari attuato dall’ex amministratore delegato Vincenzo de Bustis con una operazione dai contorni ancora poco chiari”.
“È il 5 dicembre 2018 – racconta Torzi al Sole 24 Ore – quando ricevo sul mio smartphone un messaggio via whatsapp da Vincenzo De Bustis, che conoscevo dai tempi della Deutsche Bank. Mi chiede di contattarlo. Tra il 10 e il 12 dicembre, De Bustis prende l’aereo e viene a trovarmi a Londra per propormi di curare il collocamento di un bond della popolare di Bari da 20 o 30 milioni di euro. Ma l’operazione non è mai decollata. Il nostro team di capital market comprese ben presto, infatti, che nessuno voleva comprare i titoli della banca”.
Operazione praticamente mai nata, concepita inizialmente da De Bustis, che – ha raccontato ancora Torzi – “voleva emettere un titolo Tier 1, cioè una obbligazione subordinata alle senior e quindi con un rischio diverso, che in caso di default non sarebbe stata ripagata”. Ma “i feedback ricevuti dai nostri uomini erano che nessuno avrebbe mai acquistato il titolo perché era ad alto rischio e l’eventualità di insolvenza elevata”.
Riguardo all’iter che la banca pugliese dovrà seguire per mettersi in salvo, un passo in avanti è stato fatto e comunicato lo scorso 1° gennaio, con una nota di Mediocredito centrale, in cui si legge che il cda ha deliberato di sottoscrivere un accordo quadro con Banca Popolare di Bari e il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, che identifica i passaggi essenziali. Passaggi essenziali mediante i quali, nei prossimi mesi, “potrà pervenirsi alla ristrutturazione della stessa Banca Popolare di Bari e alla sua ricapitalizzazione, con un intervento complessivo non superiore a Euro 1,4 miliardi“.
Nell’inserto L’Economia, il Corriere della Sera ha però messo in evidenza, lo scorso 5 gennaio, tutte le incoggnite del dossier:
“La più importante di queste riguarda l’esatto ammontare del buco causato dalla gestione Jacobini e le risorse necessarie a ripianarlo. Come detto in apertura, per ora si stimano 1.400 milioni di euro e su questa cifra si è mosso il Fitd deliberando fino a un massimo di 700 milioni di euro di intervento e lasciando la quota restante al Mediocredito centrale controllato dal Tesoro, ma le inchieste in corso della magistratura barese potrebbero aprire a una realtà diversa e più grave, come taluni sospettano: fidi concessi senza garanzia che potrebbero allargare la necessità di intervento anche di altri quattrocento milioni di euro. Un’ipotesi raggelante perché il Fitd, con i denari delle banche italiane aderenti, ha già recentemente dovuto intervenire a Genova, in casa Carige”.
Da ricordare che Marco Jacobini, 73 anni, è stato capo di Pop Bari – banca che suo padre aveva fondato nel 1960 – fino a luglio 2019. Una gestione trentennale che ha provocato un buco di 1400 milioni di euro nell’istituto.