Valute: il cambio euro/dollaro a 1,50? Non è così improbabile secondo UBP. Ecco perché
Negli ultimi mesi, il cambio euro/dollaro è passato dai livelli di circa 1,08 (all’inizio di maggio) a quelli attuali di poco inferiori a 1,20. Si tratta di un movimento ampio e significativo nell’arco di pochi mesi se si considera che negli ultimi due anni il cambio ha oscillato in un trading range ristretto, tra 1,06 e 1,14. L’apprezzamento del cambio riflette principalmente la debolezza del dollaro piuttosto che la forza dell’euro. Ma il movimento non è ancora finito, secondo Union Bancaire Privée (UBP) che prevede un cambio fino a 1,50.
“Abbiamo già visto in precedenza aggiustamenti simili del dollaro che, se si dovessero ripetere, renderebbero un indebolimento di circa il 30% del dollaro del tutto possibile – afferma Peter Kinsella, Global Head of Forex Strategy di UBP – Questo porterebbe comodamente il cambio euro/dollaro sopra 1,50″. I motivi, secondo l’esperto, sono molteplici: la compressione del differenziale dei tassi d’interesse, le valutazioni sotto pressione, il calo scioccante del tasso di risparmio statunitense e la riduzione del sostegno governativo alle istituzioni.
In primo luogo, i tassi di interesse a lungo termine statunitensi hanno continuato a scendere. I rendimenti dei titoli decennali Usa si attestano intorno allo 0,6% e se la Fed annuncerà una politica di controllo della curva dei rendimenti nelle prossime settimane, UBP prevede che i rendimenti obbligazionari ultra-lunghi si contrarranno. Non è impossibile prevedere una situazione in cui i rendimenti delle obbligazioni trentennali calino sotto l’1% (attualmente l’1,4%). In un certo senso, il dollaro rischia di perdere un vantaggio permanente in termini di tassi d’interesse e ciò peserà nel medio periodo. Gli investitori potrebbero essere meno incentivati ad acquistare dollari in futuro, visti i rendimenti reali negativi (aggiustati per l’inflazione). Poiché la Fed ha promesso di mantenere bassi i tassi di interesse per un periodo di tempo prolungato, ci vorranno almeno cinque anni prima che decida di aumentare i tassi a livelli anche solo vicini all’1%. La banca centrale americana ha già indicato che perseguirà un obiettivo di inflazione “simmetrica”, il che significa che non aumenterà i tassi anche se l’inflazione crescerà, perché compenserà gli ultimi dieci anni di assenza di inflazione. La conclusione è che il dollaro Usa non mostrerà a breve un vantaggio interessante in termini di tasso d’interesse.
Tuttavia, nonostante il dollaro sia attualmente debole, continua a scambiare a livelli elevati, con una sopravvalutazione del 15% in base alla maggior parte delle metriche di valutazione tradizionali. Di solito, il biglietto verde non passa dall’essere costoso a valutazioni eque. Piuttosto, tende all’overshooting e poi a muoversi verso valutazioni più economiche. Ciò è in linea con la teoria del sorriso del dollaro, in base alla quale la valuta americana tende a rally aggressivi in due scenari: quando gli Stati Uniti godono di un premio di crescita superiore al resto del mondo (si pensi al 2014 -2019) e durante i periodi di estrema avversione al rischio (si pensi alla crisi finanziaria del 2008/9 e all’impatto iniziale di Covid-19). Al contrario, quando negli Stati Uniti si registra una crescita modesta, mentre nel resto del mondo è forte, il greenback tende a sell off consistenti. Quest’ultimo è lo scenario a cui stiamo assistendo attualmente, il che significa che c’è ampio spazio per un ulteriore calo del dollaro.
Un altro aspetto riguarda il tasso di risparmio negli Stati Uniti. Già prima della pandemia, il tasso di risparmio nazionale netto era notevolmente peggiorato, a causa degli enormi disavanzi di bilancio dell’amministrazione Trump. Il tasso di risparmio delle famiglie è aumentato drasticamente negli ultimi mesi, ma è probabile che diminuisca rapidamente in assenza di una robusta crescita economica. I deficit di bilancio degli Stati Uniti rimarranno probabilmente a livelli incredibilmente elevati nei prossimi anni e questo porterà molto probabilmente a un ampliamento del disavanzo delle partite correnti negli Stati Uniti. Un deficit delle partite correnti significa che un paese deve importare capitali dall’estero e un modo per farlo in modo più efficace è quello di indebolire la valuta in modo significativo, in modo che gli investitori credano di ottenere beni a prezzi economici.
Non solo. Sotto l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno costantemente ritirato il sostegno a molte delle istituzioni. In un certo senso, si sta assistendo alla fine dell’eccezionalità americana, che ha permesso alla moneta di un paese di rappresentare oltre il 65% delle riserve valutarie globali e di avere un ruolo incredibilmente sovradimensionato nel commercio globale. Ciò non è di buon auspicio per il dollaro nel lungo periodo. Questo potrebbe cambiare sotto la presidenza di Biden, ma anche in questo caso bisognerà attendere.
Con l’evolversi di tutti questi fattori nei mesi e negli anni a venire, il risultato sarà un aumento delle valutazioni del cambio euro/dollaro. Una tendenza che la Bce, seppur non entusiasta, difficilmente potrà ostacolare. “Con i tassi più bassi possibili, l’unico modo per la Bce di evitare un movimento di questa portata sarebbe quello di intervenire e acquistare dollari, ma non riteniamo che questo possa accadere”, conclude l’esperto di UBP.