UniCredit si sfiamma con nodo AD, Mps entra nel mirino del private equity. E intanto si profila altro anno di dieta cedole per azionisti
UniCredit: l’imperativo rimane la scelta del nuovo AD successore di Jean-Pierre Mustier. Scelta da fare entro il prossimo 10 febbraio. Il dossier Mps è dunque per ora congelato e verrà risfoderato nel momento in cui sarà chiaro chi prenderà le redini. Detto questo, sicuramente la tenuta del governo Conte, seppur certificata da un governo di minoranza, ha riaccesso le speculazioni sulle nozze tra le due banche, i cui titoli hanno accelerato nella sessione della vigilia, con UniCredit balzata fin oltre il 4% e Mps salita di oltre +3%.
Oggi prevale invece la cautela, mentre le indiscrezioni sul prossimo AD di Piazza Gae Aulenti continuano a rincorrersi. Andrea Orcel, ex ceo di Ubs, viene considerato ancora il favorito. Ma, stando a quanto riporta un articolo de Il Corriere della Sera, l’artefice dell’affarire Antonveneta-Mps “susciterebbe dei dubbi presso alcuni soci, in quanto più investment banker”.
Il quotidiano segnala infatti che diversi azionisti opterebbero per un profilo più commerciale, “per far tornare la banca a guadagnare e ad affrontare la concorrenza interna con Intesa SanPaolo“.
In tal senso verrebbero caldeggiati i nomi, piuttosto, dei candidati Fabio Gallia, dg di Fincantieri e già ceo di CdP e di Bnl-BNP Paribas, e di Flavio Valeri, ex AD di Deutsche Bank: i due sono infatti banchieri più commerciali. Le indiscrezioni confermano anche Carlo Vivaldi come candidato interno alla carica di AD di UniCredit.
Riguardo a Mps, di recente messa ufficialmente in vendita dal maggiore azionista, ovvero dal Tesoro italiano – che detiene una quota del 64% – il Sole 24 Ore parla di un’interesse che starebbe arrivando dal mondo dei private equity. “Il dossier Mps finisce anche sotto osservazione di qualche grande private equity. Si tratterebbe, secondo indiscrezioni, al momento di un interesse iniziale. Ma i grandi fondi, ricchi di liquidità, starebbero prendendo in esame l’istituto”, si legge nell’articolo.
Molto dipenderà, viene segnalato, dalle condizioni che il governo italiano sarà disposto a offrire: in realtà, molto è stato offerto a UniCredit affinché si accollasse la banca senese: oltre alla dote fiscale, il Mef ha messo sul piatto anche l’offerta di ripulire ulteriormente il bilancio della banca dai crediti deteriorati, cedendoli ad Amco. E’ vero tuttavia che rimane il no di alcuni soci, come di Leonardo Del Vecchio e delle Fondazioni, alle nozze con il Monte per ora ancora di Stato.
Guardando all’intero settore bancario dell’Eurozona, l’impressione è che, voglia di M&A a parte – questo potrebbe essere finalmente l’anno delle grandi fusioni cross-border – anche nel 2021 gli azionisti saranno sottoposti, se non a un digiuno, a una dieta forzata sui dividendi.
Un altro articolo de IL Sole 24 Ore che porta la firma di Luca Davi segnala infatti che, “almeno a quanto emerge dalle prime indiscrezioni in arrivo da Francoforte, nel complesso le banche dell’Eurozona in larghissima parte si sarebbero allineate alle raccomandazioni Bce sul tema delle cedole, e avrebbero così accettato di utilizzare gran parte degli utili 2019 e 2020 per affrontare al meglio gli effetti della pandemia”.
Dunque, tanti azionisti rimarranno ancora, probabilmente, se non a bocca asciutta, a dieta di dividendi. Chi si azzarderà a distribuire le cedole dovrà comunque attenersi ai limiti fissati e già comunicati dalla banca centrale: ovvero quelli secondo cui, fino a settembre di quest’anno, i dividendi e i buyback dovranno essere pari al dato più basso tra il 15% degli utili cumulati per il 2019 e il 2929 e i 20 punti base del Common Equity Tier 1 ratio.
Una dieta ferrea, imposta in vista di quello che le autorità temono che potrebbe essere un vero e proprio tsunami di NPL, ovvero di crediti deteriorati, vista la crisi in corso.
La tensione, tra le banche e la Vigilanza bancaria della Bce, rimane alta, visto che l’imposizione di un cap, o tetto massimo sulle cedole penalizza le banche dell’Eurozona rispetto alle rivali straniere. Per fare un paragone, anche la Bank of England ha tolto il bando ai dividendi limitandone l’erogazione, ma il cap è stato fissato al 25% degli utili, rispetto al 15% del cap deciso da Francoforte.