UniCredit regista risiko con Orcel? Morgan Stanley snobba Mps e ipotizza prima fusione con Banco BPM e poi nozze con Generali
UniCredit “è un’istituzione veramente paneuropea, le cui origini sono saldamente radicate in Italia, il Paese dove sono nato. Vedo in UniCredit l’opportunità di fare la differenza. Un’opportunità per fare le cose in modo diverso e creare un modello di come può essere l’attività bancaria, fatta nel modo giusto, per le giuste ragioni”. Così ha commentato il neo AD di Piazza Gae Aulenti Andrea Orcel, dopo l’approvazione della sua nomina e di quella del presidente Pier Carlo Padoan dall’assemblea degli azionisti. Orcel è riuscito così a superare lo scoglio dell’assemblea.
La votazione era molto attesa in quanto la nuova politica di remunerazione prevede un maxi stipendio da 7,5 milioni di euro nel 2021, indipendentemente dalle performance, per il nuovo ceo Andrea Orcel. Contro tale remunerazione si erano espressi i proxy advisors Glass Lewis e ISS, invitando i soci a votare no a un compenso tanto alto, che farà di Orcel il banchiere più pagato in Italia e tra i più pagati in Europa.
Ma la politica di remunerazione è stata approvata, la lista Padoan-Orcel è passata con oltre il 76% dei sì, così come è stato approvato il dividendo.
UniCredit nelle mani di Orcel, il Ronaldo dei banchieri
UniCredit è ora ufficialmente nelle mani del “Ronaldo dei banchieri”, come Orcel è stato definito, e l’attesa dei mercati è alta riguardo alle prossime mosse del banchiere noto soprattutto come dealmaker.
Un articolo di Reuters commenta il profilo del banchiere romano ricordando il suo “pedigree“: ex capo della divisione di investment banking di UBS, per ben 20 anni Orcel è stato tra i pilastri di Merrill Lynch e tra gli stessi padri fondatori di UniCredit, se così si può dire: prende infatti le redini della banca dopo aver orchestrato lui stesso la fusione tra Credito Italiano e UniCredito che diede vita a UniCredit.
E’ stato anche tra gli artefici del takeover della tedesca HVB nel 2005 da parte di UniCredit e dell’acquisizione di Capitalia due anni più tardi.
E’ lui l’uomo giusto a soddisfare i desiderata del governo Draghi che – così si mormora -, così come il governo Conte, vorrebbe appioppare a Piazza Gae Aulenti la patata bollente Mps?
Il Financial Times qualche giorno fa ha definito il ‘cda di UniCredit altamente politicizzato‘ sottolineando che il neo presidente Pier Carlo Padoan voglia che quelle nozze di cui si vocifera da mesi, quelle tra il Monte di Stato e UniCredit, si facciano.
Tra l’altro Orcel Mps la conosce bene eccome. E’ stato sempre lui, infatti, l’artefice dell’operazione con cui Mps acquistò Antonveneta da Santander nel 2007, per 9 miliardi di euro (più 7 mld di debiti fidejussori), alla vigilia della crisi finanziaria: un accordo che molti ritengono all’origine dei continui problemi della banca senese e che, secondo un banchiere intervistato dall’FT, potrebbe portare il neo ceo di UniCredit a fare quasi una sorta di tacita ammenda, prendendo sotto le sue ali la banca senese, e facendo di Piazza Gae Aulenti il suo cavaliere bianco.
Mps o Banco BPM? ‘Ma il mercato non gioca a favore dell’M&A
Oltre all’opzione Mps c’è anche quella di Banco BPM: a tal proposito, l’articolo di Reuters sottolinea che il mercato non gioca proprio a favore di un’eventuale operazione di M&A.
Tutt’altro. “Il titolo UniCredit è scambiato ad appena 1/3 del valore di libro tangibile, rientrando così nei multipli tra i più bassi di quelli delle grandi banche dell’area euro”. Questo significa che, “utilizzare le azioni per acquistare BPM a un premio del 30% costerebbe alla banca più dello 0,40% del valore di libro, diluendo le quote in mano agli azionisti di UniCredit”.
Secondo l’analisi di Reuters, Orcel dovrebbe dunque focalizzarsi prima sulla necessità di migliorare la redditività della banca, (e il trend del titolo), rafforzando magari i risultati della divisione commerciale:
“Potrebbe iniziare con il semplificare la struttura del management” e “spingere la banca a erogare credito in modo più aggressivo nel suo mercato core italiano, dove ora domina la rivale Intesa SanPaolo da 44 miliardi di euro”.
Detto questo, le sirene M&A continuano a incantare una platea sempre più ampia di analisti.
Ieri, nel giorno di Orcel, gli analisti di Morgan Stanley hanno ipotizzato una fusione tra UniCredit e Generali, precisando che “probabilmente” Piazza Gae Aulenti dovrà prima rafforzare, nel breve, la sua banca commerciale in Italia, magari proprio con una fusione con Banco BPM che avrebbe, dicono gli esperti, “un solido razionale industriale”, e in questo modo puntare all’obiettivo di rivalutare il prezzo del titolo a Piazza Affari, il cui confronto con quello della rivale Intesa SanPaolo di Carlo Messina è a dir poco impietoso.
Nel “medio termine”, l’ipotesi studiata da Morgan Stanley è quella di una fusione con Generali, che “potrebbe costituire una opportunità chiave per guadagnare in dimensione, sostenere i futuri investimenti e migliorare la redditività”.
Morgan Stanley ipotizza M&A UniCredit-Generali
Piazza Gae Aulenti con il Leone di Trieste? Sì, per Morgan Stanley, ed ecco perché:
“I vantaggi potenziali di una tale operazione sarebbero la possibilità di far leva sui clienti della banca in Italia, Germania, Austria e Cee e il potenziale per sviluppare prodotti integrati e smantellare gli attuali accordi di distribuzione per massimizzare la redditività“. Inoltre l'”industria della bancassicurazione europea è una delle più grandi e più redditizie a livello globale”e “dal 2009 al 2018 la crescita del canale bancassicurativo ha superato gli altri canali sia nel vita che nei prodotti non vita in Europa e in Italia”.
Qualsiasi accordo, ovviamente, “non potrebbe essere di natura ostile, in quanto il costo sarebbe proibitivo e il rischio di ‘dyssynergies’ potrebbe essere elevato”.
Morgan Stanley ipotizza che l’entità combinata risultante da una M&A tra UniCredit e Generali si avvantaggerebbe della cattura dei ricavi che Unicredit attualmente divide con i suoi molti partner nella bancassicurazione, e dei costi correlati alla distribuzione. Ma queste sinergie, stimate come «limitate», non giustificherebbero l’operazione senza “le sinergie di capitale significative che deriverebbero dall’applicazione del Compromesso danese“, fattore che consentirebbe al gruppo nascente dall’operazione di fusione di vantare un rialzo del Cet1 di 3-4 punti percentuali, fino al 17-18%”.
Con una tale solidità patrimoniale, dicono dai piani alti del colosso Usa, il gruppo potrebbe distribuire in dividendi il 70% dei 7-8 miliardi di euro di utili pro-forma e lanciare anche operazioni di buy-back, così da «limitare parte della diluizione dell’utile per azione», che avverebbe per effetto della fusione. Non male, si potrebbe dire. Ma le ipotesi più fantasiose in questo risiko bancario finora soprattutto teorico non sono certo mancate. E prima di allora, ammettono gli stessi analisti, Orcel avrà veramente tanto da fare, in primis come gestire la grana di Stato Mps.