(Ri)scatto petrolio & boom tassi Treasuries. La reflazione innervosisce la Fed. Ma JP Morgan invita tutti alla calma
Le vaccinazioni procedono spedite, almeno negli Stati Uniti; con l’avvento dell’era Joe Biden, si attende un maxi bazooka fiscale, che potrebbe valere ben $1,9 trilioni; i prezzi del petrolio hanno rigguantato valori che non si vedevano da più di un anno, schizzando ulteriormente al rialzo a causa del gelo record che ha colpito il Texas e che, dunque, ha imposto lo stop temporaneo ai pozzi e alle raffinerie dello stato americano, il più grande produttore di greggio degli Stati Uniti. Le aspettative sulla crescita dell’inflazione hanno riportato i tassi sui Treasuries a valori massimi in un anno: la combinazione perfetta per dare ragione a chi parla di reflazione, temendo che, dalla situazione di incapacità di centrare il target di inflazione – Mission Impossible nota soprattutto in Europa con la Bce – la Fed si stia trovando di colpo davanti a un balzo inaspettato dei prezzi, e dunque al brusco ritorno dell’inflazione: sono giorni che si parla di reflation trade, guardando soprattutto al trend dei Treasuries, i titoli di Stato americani.
Ieri i tassi decennali hanno superato la soglia dell’1,30% per la prima volta dal febbraio dello scorso anno. Anche i tassi dei Treasuries a 30 anni hanno toccato il record in più di un anno, salendo fino al 2,08%.
A conferma della paura della reflazione, un articolo di Bloomberg riporta come la Federal Reserve di Jerome Powell potrebbe star iniziando a guardare con preoccupazione al boom dei prezzi del petrolio, a causa della loro incidenza nel far salire le aspettative sull’inflazione.
In teoria, la Fed ha fatto capire ai mercati che non alzerà i tassi sui fed funds prima del 2023.
Ma il recente balzo, in particolare, del contratto WTI scambiato a New York, che ha toccato il record in più di un anno a $60,95 – sulla scia anche e soprattutto della preoccupazione sull’offerta di petrolio del Texas, messa in ginocchio dalla forte bufera di neve – e il boom dei tassi sui Treasuries potrebbero iniziare ad allertare Jerome Powell & Co.
C’è da dire che i prezzi del petrolio hanno allentato la loro corsa, anche sulla scia di alcune indiscrezioni riportate da Reuters, secondo cui i paesi dell’alleanza Opec+ potrebbero iniziare ad allentare i tagli all’offerta, a partire dal mese di aprile, visto che la missione per far riprendere i prezzi sarebbe stata compiuta.
Certo, hanno riferito le fonti, ogni eventuale aumento dell’output sarebbe modesto, visto che i produttori sanno bene che la lotta alla pandemia del coronavirus Covid-19 è ben lontana dall’essersi conclusa. Fatto sta che il taglio volontario di 1 milione di barili al giorno lanciato dall’Arabia Saudita scade il prosimo mese. E che, sebbene a Riyadh abbiano tutti le bocce cucite, c’è chi ritiene che, a partire da aprile, forse in modo graduale, parte della produzione ritirata tornerà a riversarsi sul mercato. Da segnalare che il prossimo meeting dell’Opec +, associazione tra paesi Opec e non Opec come la Russia, è attesa per il prossimo 4 marzo.
Detto questo, agli investitori interessa al momento capire fino a che punto le scommesse sull’azionario possano continuare ancora a pagare. O se sia il caso, invece, di battere in ritirata.
Nelle ultime ore JP Morgan ha fatto notare che, dalla prospettiva dei trader, importante non è tanto il balzo dei rendimenti, ma “il perchè i rendimenti salgono”.
In particolare Matt Booras, trader sui futures di JPM, ha sottolineato che, se i rendimenti stanno salendo per “buone ragioni” come la revisione al rialzo delle stime sul Pil, allora l’azionario sarà ok. Se a far salire i tassi sono alcuni eventi negativi, come per esempio il calo della domanda di Treasuries Usa, allora le azioni potrebbero soffrirne.
In un’ottica di investimento, Booras afferma che, a suo avviso, alla fine i rendimenti comprimeranno i multipli, con il risultato che, a essere colpiti in modo anche sproporzionato, saranno i titoli tech, mentre i titoli ciclici dovrebbero continuare a salire. In generale, alla domanda su come l’aumento dei rendimenti possa danneggiare l’azionario Mislav Mateija, strategist di JP Morgan, risponde che un ennesimo incremento dei tassi è probabile aggiungendo tuttavia che i mercati azionari dovrebbero reggere bene.
Per infliggere un vero e proprio danno, i rendimenti dei Treasuries dovrebbero a suo avviso schizzare al rialzo di 100-200 punti base: allora sì che le azioni perderebbero la loro appetibilità.
Ma cosa privilegiare quando i rendimenti aumentano? Al top, spiega Mateija, ci sono i titoli finanziari e ciclici, mentre i difensivi, in particolare l’heathcare e i titoli delle società attive nel settore alimentare dovrebbero fare peggio, così come i tech.
Da un punto di vista geografico, l’Eurozona e il Giappone diventerebbero le aree su cui puntare, mentre il Regno Unito sarebbe da evitare.
JP Morgan non ritiene al momento che la correlazione positiva tra azionario e tassi dei Treasuries sia in pericolo, almeno nel breve periodo, e ricorda che, fin dallo scorso marzo, (prendendo come parametro l’indice azionario benchmark S&P 500), Wall Street è salita in corrispondenza di un aumento dei tassi a 10 anni, e viceversa. Una relazione che, secondo gli strategist, dovrebbe rimanere coerente anche nel lungo periodo.
E’ vero comunque la paura della reflazione sta portando altri operatori di Wall Street a temere che un contesto di tassi più alti potrebbe portare gli investitori a fuggire dall’azionario e a puntare sui bond, mettendo sotto pressione in particolare, il settore tecnologico, che è tra quelli che hanno beneficiato in misura maggiore del contesto di bassi tassi di interesse.
Ma oltre a JPM anche Jeff Buchbinder di LPL Financial’crede che questi timori siano esagerati.
“La preferenza per le azioni rispetto ai bond – sostenuta da un contesto di bassi tassi di interesse – è una delle nostre raccomandazioni più forti per il 2021 – ha detto lo strategist sull’azionario – Diversi segmenti del mercato azionario – in particolar modo il settore energetico e le banche – offrono rendimenti che sono più alti rispetto a quelli offerti dai bond tradizionali a qualità elevata, e dispongono anche di un potenziale di ulteriore apprezzamento di capitale in una situazione di aumento dei tassi di interesse”. Insomma, prima di mollare l’azionario qualcuno consiglia di riflettere bene.