Recessione Usa: ‘I grandi capi Dimon, Fink e Musk si sbagliano. Le cose andranno anche peggio’
La paura di una recessione in arrivo in Usa assilla Wall Street e i mercati mondiali da un po’, complici anche le previsioni fosche arrivate dal mondo dell’alta finanza: Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan, ha paventato addirittura un uragano economico, mentre Larry Fink, ceo di BlackRock, ha riferito a Bloomberg di prevedere un’inflazione Usa che rimarrà elevata per molto tempo ancora (ha parlato di anni), accompagnata da “momenti di paura” che si tradurranno in una maggiore volatilità dei mercati.
Pessimista anche Elon Musk di Tesla (a quanto pare non più proprietario futuro di Twitter), che avrebbe detto di avere una “sensazione molto negativa” riguardo alla traiettoria dell’economia.
Meno pessimista, fa notare un articolo di Morningstar, è il responsabile economista di Bank of America, Brian Moynihan, secondo cui l’economia made in Usa versa ancora in buone condizioni di salute.
C’è poi chi ritiene che le cose siano messe, invece, molto peggio di quanto si pensi. E che questi “grandi capi”, del calibro di Dimon, Fink, Musk e sicuramente Moynihan, non siano sufficientemente preoccupati.
Lo scrive nero su bianco Mike “Mish” Shedlock, consulente per gli investimenti di SitkaPacific Capital Management.
A suo avviso, “una profonda recessione” è, infatti, alle porte, e dovrebbe palesarsi nel corso di questo trimestre o all’inizio del prossimo.
Misk crede che le stime sul Pil Usa siano “ancora troppo alte”. Il riferimento, nel suo blog Mish Talk, è all’outlook che emerge dall’Atlanta Fed’s GDPNow Forecast, relativo al Pil Usa del secondo trimestre del 2022: viene pronosticata una espansione del prodotto interno lordo pari a +1,3%, in ribasso rispetto al +1,9% di maggio atteso lo scorso 27 maggio ma, evidentemente, ancora troppo positivo.
Misk consiglia di guardare al dato relativo alle vendite finali su base reale “che, nel primo trimestre sono state negative” e che, secondo lui, lo saranno ancora nel secondo trimestre.
“Non credo che le vendite al dettaglio resisteranno”, ha aggiunto l’economista, aggiungendo che il dato disastroso relativo alle vendite di auto non è sicuramente di aiuto e/o di buon auspicio.
Agli antipodi c’è la view del capo economista di JP Morgan Chase, Bruce Kasman, che sembra non essere affatto d’accordo con il suo boss, ovvero il ceo Jamie Dimon, visto che afferma che esiste una probabilità alquanto bassa che una recessione Usa sia imminente.
“Non esiste una vera ragione per temere una recessione – ha detto Kasman, in un’intervista rilasciata ieri alla trasmissione Surveillance in onda su Bloomberg Television – C’è un qualche rallentamento nel quadro”, ha aggiunto.
E non è sicuramente catastrofico neanche il responsabile degli investimenti di Putnam Investment, Shep Perkins che, in una nota ai clienti il cui contenuto è stato riportato sempre da Morningstar, ha scritto di non intravedere alcun episodio “stagnante stile anni ’70’ ” che possa portare i mercati a essere piatti per un decennio circa.
Perkins fa affidamento alla solidità del mercato azionario, ricordando che i ratio price/earnings relativi ai periodi inflazionistici che si sono susseguiti dal 1900 dimostrano come la crescita degli utili abbia dato sempre dimostrazione di resilienza, a eccezione di quelle fasi in cui le cose si mettevano davvero male.
E il ‘makeup’ di Wall Street aiuta:
“Per esempio – fa notare il CIO – negli anni 70, l’indice (riferimento all’indice S&P 500) era costituito soprattutto da titoli di società cicliche, attive nei settori dell’energia, delle materie prime, dell’industria. Oggi, la maggior parte dello S&P 500 è rappresentata da società a veloce crescità e di alta qualità, che tendono a essere resilienti in tempi di turbolenze economiche”.
Per queste aziende, il rischio più importante è l'”obsolescenza tecnologica”.
Negli anni ’70, inoltre, le società quotate in Borsa erano in generale non solo più cicliche ma anche più propense a indebitarsi, a ricorrere dunque a un maggiore leverage. Perkins sottolinea che invece “oggi i leader dello S&P sono società che presentano margini più elevati, in settori come tecnologia, comunicazioni e health care”.
Tornando alle previsioni dei cosiddetti grandi capi di Wall Street, in particolare di Elon Musk, il riferimento è a quanto il fondatore e ceo di Tesla, ha scritto in una email recente, inviata ai dirigenti del produttore EV di auto elettriche: email di cui Reuters ha preso visione e che ha fatto un bel po’ di notizia.
Nell’email, intitolata “Pause all hiring worldwide”, ovvero “Fermate le assunzioni in tutto il mondo”, Musk ha parlato della necessità di tagliare il 10% del suo staff, dopo aver avvertito di recente che l’economia Usa o è già in recessione o è diretta verso quella direzione.
Il ceo di Tesla ha detto anche che una recessione è una cosa positiva: “E’ troppo tempo che piovono soldi. Sono necessarie alcune bancarotte”, ha aggiunto Musk, dicendo di prevedere che la recessione durerà tra 12 e 18 mesi.
Non ha di certo gradito le previsioni di Elon Musk il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che si è così espresso:
“Fatemi dire che, mentre Elon Musk fa questi discorsi, Ford sta aumentando in modo massiccio i suoi investimenti. Ford sta aumentando gli investimenti e costruendo nuove auto elettriche, con 6.000 nuovi dipendenti – dipendenti che appartengono a sindacati, mi preme aggiungere – nel Midwest. Anche l’ex Chrysler Corporation, Stellantis, sta facendo investimenti simili in veicoli elettrici. Intel sta creando 20.000 nuovi posti di lavoro per la realizzazione di nuovi chip per computer”.
Detto questo, a dispetto della risposta di Joe Biden, Adam Jones di Morgan Stanley ha detto di credere nelle previsioni di Elon Musk, “per la conoscenza unica che ha dell’economia globale”.
Di conseguenza, “noi riteniamo che un suo messaggio sia altamente credibile”, ha sentenziato Jones.