Prometeia: se Recovery Fund verrà sfruttato in pieno Italia smetterà di essere tallone d’Achille Eurozona
L’Italia si gioca davvero il suo futuro con l’utilizzo efficiente delle risorse del Recovery Fund-Next Generation EU. E’ quanto emerge dal rapporto di Prometeia appena diramato.
Nell’analisi, vengono presentati due scenari per l’economia italiana. Nello scenario di base viene ipotizzato che “l’utilizzo dei fondi europei faciliti la messa in campo di alcune delle riforme che da anni l’economia italiana stenta ad adottare, oltre ad avviare riallocazioni verso settori più innovativi così favorendo una ripresa della produttività”.
Il primo scenario contempla dunque l’utilizzo delle risorse del Next Generation EU insieme al lancio delle riforme strutturali di cui l’Italia necessita troppo tempo. In questo caso, così come emerge dal rapporto di Prometeia “Italia nel 2030 colma gap di crescita con l’Europa se NGEU è sfruttato in pieno”, nel 2030 “il livello del Pil italiano potrebbe essere al di sopra di quello del 2019 del 10,5%, con un debito pubblico al 135% del Pil: una prospettiva cautamente ottimista che, nella seconda metà del decennio, vede una crescita del Pil pro-capite in linea con quella dei maggiori paesi dell’area”.
Di conseguenza, “dopo un quarto di secolo di crescita inferiore a quella dei principali partner europei, potremmo quindi non essere più il ‘tallone d’Achille’ dell’Eurozona, pur non riuscendo a recuperare la distanza che nel frattempo si è aperta”.
Il secondo scenario implica “un sentiero in cui l’utilizzo dei fondi europei si traduce in uno stimolo temporaneo di domanda, non accompagnato da riforme strutturali né in grado di avviare una trasformazione produttiva verso settori con livelli di produttività più elevati”. In entrambi gli scenari, Prometeia ipotizza “una politica monetaria che rimanga ultra-accomodante”.
Nel caso del secondo scenario, “l’assenza di riforme strutturali significa praticamente che il potenziale di risorse messe in campo dall’Europa non è colto a pieno, impedendo all’economia italiana di colmare il gap di crescita che si è progressivamente formato negli ultimi 25 anni”.
In questa situazione, “il Pil sarebbe superiore al livello 2019 solo del 5,8%, con il debito pubblico ancora al 151% del Pil. Uno scenario non drammatico, ma tale comunque da relegarci, forse definitivamente, tra le economie deboli dell’area”.
Nel breve termine e per il Pil Italiano, Prometeia prevede una crescita del 4,7% nel 2021, e un tasso medio annuo di espansione pari a +3,8% nel periodo 2021-2023, seguito da un +1,2% medio annuo nel 2024-2030.
Per il Pil dell’Eurozona, nel periodo 2021-2023 gli analisti stimano un ritmo di crescita annuo del 3,6% medio annuo, seguito nel periodo 2024-2030 da un + 1,3% medio annuo.
Per il Pil mondiale, le stime sono di una crescita nel periodo 2021-2023 del 4,6% medio annuo e del 3,2% nel periodo 2024-2030.
2020, con Covid peggiore recessione Italia in tempi di pace
Così Prometeia fa il punto sulle condizioni in cui versa l’economia italiana e sulle prospettive nel breve periodo:
“La pandemia lascia in eredità per l’Italia la peggiore recessione in tempi di pace, con una caduta dell’8,9% del Pil nel 2020″. Il bilancio è da brividi: “Nel corso dell’anno sono stati ‘persi’ 150 miliardi di euro di Pil, 108 miliardi di consumi, gli occupati sono 435mila in meno, l’indebitamento pubblico è passato dai 27,9 miliardi a cui era sceso nel 2019 a 156,3 miliardi”.
A questo punto la domanda, per l’Italia guidata ora dall’ex presidente della Bce Mario Draghi, la seguente:
“Quanto è stato fatto dalle politiche sarà sufficiente a far sì che davvero questa crisi sia diversa da ogni altra anche per la velocità con cui se ne uscirà? Il dibattito è aperto – scrive Prometeia – nel frattempo osserviamo che la dimensione degli impulsi fiscali per l’Italia è comunque significativa in prospettiva storica: dopo il 6,6% di Pil di politiche espansive del 2020 (108 miliardi), il 2021 si sta avviando verso un impulso di poco inferiore, pari al 5% (85 miliardi). A questo va sommato il contributo che potrà venire dal NGEU, che stimiamo in circa 10 miliardi nell’anno in corso”.
Viene ricordato che “all’Italia sono potenzialmente allocati 209 miliardi di euro da spendere in sei anni. Per l’Italia Prometeia stima che le spese aggiuntive (dunque non quelle già programmate) finanziate con questi fondi siano pari a 120 miliardi, utilizzando tutti i sussidi a fondo perduto disponibili (81 miliardi) e circa 40 miliardi di prestiti, cui si ricorrerebbe però solo a partire dal 2024. Un ammontare totale in linea con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che tuttavia è ancora in corso di definizione. Nonostante la volontà espressa dal precedente governo di spendere almeno 81 miliardi di queste risorse aggiuntive nei primi tre anni, e nonostante l’impegno del nuovo esecutivo ad innovare le procedure per renderle più efficaci, adottiamo un’ipotesi di cautela che nel 2021-2023 considera una realizzazione di circa il 70% di quanto pianificato. Ciò in ragione delle criticità nell’attuazione delle opere, evidenti nei ritardi del passato”.
“Il contributo alla domanda sarà in media di un punto di Pil all’anno, che si andrà a sommare al rimbalzo post-pandemia e alle politiche fiscali del governo italiano. Lo stimolo sarebbe importante ma non sufficiente a permettere un pieno recupero dei livelli pre-crisi prima del quarto trimestre 2022. Faremo peggio di altri paesi (Germania e Francia) ma molto meglio rispetto alle due crisi passate, quando i livelli pre-crisi non erano ancora stati recuperati nel 2019, a oltre 10 anni dallo scoppio della prima. In questo contesto, lo spread Btp-Bund potrà scendere sotto i 90 punti base a fine 2023″.
L’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi è riuscito a far scendere lo spread, agli inizi di febbraio, fin sotto la soglia dei 100 punti, quando non era diventato ancora ufficialmente il capo del governo italiano. Un nome, una garanzia, hanno detto in molti. Nelle ultime ore il presidente del Consiglio, Mr Whatever It Takes ai tempi in cui era presidente della Bce, l’uomo che ha salvato l’euro nel periodo della crisi dei debiti sovrani, è tornato a parlare non solo di Italia, ma anche di Europa, rilanciando l’idea degli eurobond. Idea in passato puntualmente affossata dall’Asse del Nord ma che con Draghi, forse, stavolta potrebbe non essere rimandata più al mittente, e magari concretizzata.