Petrolio: prezzi in calo dopo mossa Arabia Saudita e occupazione Usa, ma effetti uragano Ida tamponano i ribassi
I prezzi del petrolio scendono, scontando la decisione dell’Arabia Saudita di tagliare i prezzi del crude con cui rifornisce l’Asia, il suo principale mercato, ma portandosi dietro anche gli strascichi dei diversi interrogativi scatenati dal report occupazionale Usa. Il trend ribassista è comunque frenato dai timori sull’offerta di petrolio americana, visto che il passaggio dell’uragano Ida nel Golfo del Messico ha messo fuori gioco 1,7 milioni di barili al giorno di produzione.
Ma vediamo alla decisione di Riyadh: per la precisione, il gigante statale Saudi Aramco ha notificato ai clienti, con un comunicato diramato nella giornata di domenica, che ad ottobre taglierà i prezzi del crude a tutti i barili venduti in Asia, di almeno 1 dollaro al barile. Il taglio è più forte di quanto il consensus di Reuters prevedesse.
“I black out prolungati che hanno colpito la produzione del Golfo e la capacità di raffinazione della Louisiana sono destinati a creare un buco ancora più grande nelle scorte di oil, già in calo, degli Stati Uniti”, ha commentato Vandana Hari, analista del settore energetico presso Vanda Insights.
Non per niente, il governo federale Usa ha già iniziato a liberare le riserve strategiche di petrolio, visto che offline sono andati anche più di 56 milioni di metri cubi di gas naturale.
Hari ha sottolineato allo stesso tempo come un fattore bullish, “di supporto” dei prezzi sia rappresentato dai “dati che mostrano una continua solida ripresa della domanda di benzina” negli States.
Dunque, la fase ribassista di queste ultime ore potrebbe essere solo inquadrata in un trend ribassista di breve periodo?
C’è da dire che le quotazioni non stanno scendendo ‘solo’ a causa del taglio dei prezzi da parte dell’Arabia Saudita: il mercato paga anche il report occupazionale Usa di agosto, diffuso venerdì scorso, che ha rimesso in discussione le condizioni di salute dell’economia Usa, in particolar modo la sostenibilità della crescita e, di conseguenza, le aspettative su un imminente annuncio del tapering da parte della Fed di Jerome Powell.
Alle 10.45 circa ora italiana, i prezzi del WTI cedono lo 0,85% a $68,71, mentre il Brent fa -0,79% a $72,04 al barile.
Dal dato Usa è emerso che, ad agosto, l’economia americana ha creato appena 235.000 nuovi posti di lavoro, molto peggio delle stime. Gli economisti intervistati da Dow Jones avevano previsto una creazione pari praticamente al triplo, ovvero di 720.000 nuove buste paga. Gli analisti di Bloomberg hanno commentato così il report:
“La decelerazione delle assunzioni riflette probabillmente sia la crescita dei timori per la veloce diffusione della variante Delta del Covid-19, sia le difficoltà (delle aziende) nel reclutare i profili di cui hanno bisogno”.
E si sa come la variante Delta o più in generale la pandemia Covid-19 sia sempre stata un fattore che ha avuto grandi ripercussioni sui prezzi del petrolio, arrivati a crollare nel 2020 con un tonfo shock del 300% che ha portato il contratto WTI sotto lo zero.
La ragione è evidente: con il lockdown da Covid molte aziende lo scorso anno hanno chiuso, affondando così la domanda di petrolio. Da allora le cose sono cambiate, con un rally imponente che si è tuttavia smorzato proprio a causa dei nuovi contagi Covid-19 risaliti negli ultimi mesi.
In ogni caso, l’outlook rimane bullish, anche se si affacciano anche i downgrade.
Tra i bullish spicca Edward Moya, senior market analyst at OANDA, secondo cui “con un mercato ancora in forte deficit nella fine dell’anno, i prezzi sembrano destinati a riportare ulteriori rally, visto che l’Opec+ appare disciplinata a ritirare i tagli e le scorte Usa continuano a scendere”.
Particolarmente bullish a Wall Street è Francisco Blanch, strategist della divisione di commodities di Bank of America, che prevede prezzi a $100 al barile nel 2022, a causa di quello che lui prevede un crunch dell’offerta a livello mondiale:
“In primo luogo, la ripresa della domanda per la mobilità è notevole, dopo un lockdown durato 18 mesi. In secondo luogo, il transito di massa rimarrà indietro, il che significa che aumenterà l’utilizzo di macchine private per un periodo prolungato di tempo. In terzo luogo, studi pre-pandemici hanno dimostrato che l’abbandono dello smartworking si potrebbe tradurre in più chilometri percorsi in macchina (con maggiore richiesta di benzina annessa), visto che il work-from-home diventa work-from-car. Sul fronte dell’offerta, ci aspettiamo che negli Usa e nel mondo ci saranno pressioni perchè si taglino gli investimenti in conto capitale per centrare gli obiettivi di Parigi. In secondo luogo, gli investitori sono diventati più espliciti nel manifestare l’opposizione verso il settore energetico, sia per ragioni finanziarie che attinenti all’ESG. Terzo fattore, aumentano le pressioni per limitare le emissioni di diossido di carbonio. In poche parole, la domanda dovrebbe rimbalzare e l’offerta potrebbe non riuscire a stare al passo, permettendo all’Opec di detenere il controllo del mercato nel 2022“.