Pechino non si ferma, dopo Didi attacca Tencent e i titoli delle scuole private. Borsa Hong Kong -3%
E la Cina mangia se stessa. L’affondo di Pechino contro l’hi-tech non conosce tregua e, dopo la ripetuta serie di attacchi contro Didi, l’Uber cinese che ha osato lanciare un’operazione di Ipo a Wall Street, la vittima prescelta, stavolta, è Tencent: un vero e proprio impero di business, che compare tra le 10 società quotate in Borsa più valutate al mondo, con una capitalizzazione di $680 miliardi.
Pechino ha ordinato al gigante Internet di rinunciare agli accordi di esclusiva che ha siglato con le grandi major discografiche, nell’ambito di una stretta che continua a portare avanti contro le attività presunte di monopolio.
Secondo quanto proferito sabato dall’Autorità statale di regolamentazione dei mercat, Tencent vanterebbe diritti di esclusiva su più dell’80% “di risorse discografiche”, a seguito della sua acquisizione, nel 2016, di China Music Group.
E basta questo a minacciare la libera concorrenza nel mercato cinese, limitando l’abilità delle società più piccole di fare anche un passo nel settore.
Tencent Holdings, meglio nota all’estero per il suo servizio di messaggistica WeChat, capitola in Borsa con un tonfo superiore al 7%, che dà il via a potenti sell off che non risparmiano neanche Alibaba e Meituan. Ma c’è di peggio.
I titoli delle scuole private quotate a Hong Kong New Oriental Education & Technology Group, Koolearn Technology e China Beststudy Education Group rollano ciascuno di oltre il 30% dopo che, sempre le autorità di Pechino, hanno reso più stringenti i limiti sul comparto.
Inevitabile il forte impatto sull’indice benchmark della borsa di Hong Kong, l’Hang Seng, che scivola fin oltre il -3%. Peggio fa il sottoindice di riferimento del settore tecnologico Hang Seng Tech index, che affonda di oltre -5%.
Nel frattempo Didi, l’Uber cinese sbarcata a New York, è reduce da un crollo del 21%, dopo l’ennesimo – e anche continuo – schiaffo sonoro della Cina. Secondo quanto riporta Bloomberg, le autorità cinesi starebbero pianificando una sanzione ancora più alta rispetto a quella record versata a Alibaba, pari a $2,8 miliardi.
Ma la pena contro Didi potrebbe essere ancora più alta: Pechino starebbe pensando infatti di costringere la società al delisting.
Lo scorso 16 luglio, i funzionari di ben sette agenzie governative cinesi hanno fatto un blitz negli uffici del colosso di ride-sharing, per individuare la presenza di eventuali rischi per la sicurezza cibernetica. La società cinese Didi Chuxing è sbarcata il 30 giugno alla Borsa di New York, lanciando una delle operazioni di IPO negli Stati Uniti più grandi negli ultimi dieci anni.
Pechino continua a marcare stretto il gruppo dopo che una delle agenzie, la Cyberspace Administration of China (CAC), ha accusato Didi di aver raccolto illegalmente i dati dei suoi utenti. Ancora prima, Pechino ha impedito ai nuovi utenti di scaricare l’APP di Didi, per la preoccupazione legata sempre alla raccolta dei dati personali degli utenti, rimuovendo il suo servizio anche alle cosiddette super APP di WeChat e AliPay.
Le vendite sul titolo Didi sono state tali da dimezzare il valore della partecipazione detenuta dalla ‘vera’ Uber, che in meno di un mese è precipitata dagli iniziali $9,4 miliardi.
Da segnalare che Uber detiene una quota del 12% circa in Didi, fattore che lo rende secondo maggiore azionista dopo Uber.
Le adr di Uber, che hanno fatto il loro debutto al New York Stock Exchange a $14 dollari, sono scivolate del 21% nella seduta di venerdì, a $8,06, dopo il tonfo -11% della vigilia. Il 1° luglio, secondo giorno di trading del titolo, Didi aveva chiuso al valore massimo di chiusura, pari a $16,40.