Outlook petrolio 2022: in ritirata sotto $60. Ma c’è chi paventa $200 scagliandosi contro road map Aie per emissioni zero entro 2050
Prezzi del petrolio in ritirata fino a sotto $60 al barile, nel 2022, come prevedono gli analisti di Mitsubishi UFJ Financial Group (MUFG) , tra le banche del Giappone più importanti, o in rally addirittura fino a $200, come ha avvertito il ministro dell’energia di un paese produttore di oil del Golfo?
Di differenza sull’outlook ce n’è,e ben tanta, anche se la seconda ipotesi è decisamente estrema.
In un rapporto settimanale dedicato al mercato petrolifero, il colosso giapponese ha scritto di ritenere che la maggiore produzione da parte dell’Opec, la ripresa della produzione di gas di scisto negli Stati Uniti e la possibilità che sul mercato ritorni il petrolio iraniano, potrebbero far scendere le quotazioni del Brent Crude dai 75 dollari al barile del secondo trimestre del 2021 a $73 al barile alla fine del terzo trimestre, e ulteriormente a $64 al barile alla fine del quarto trimestre.
Per il 2022, la banca stima che il Brent torni a oscillare attorno a $58 al barile, dunque sotto la soglia psicologica di $60.
“Dietro la nostra narrativa bearish sui prezzi del petrolio, c’è la convinzione, secondo cui l’attenzione si sposterà dalla domanda – il cui profilo si sta normalizzando sempre di più, tornando ai livelli pre-Covid – su un’offerta più alta, che arriverà con una produzione più elevata da parte dell’Opec + (alleanza tra paesi Opec e non Opec come la Russia); con l’eventuale ritorno dei barili iraniani e con l’aumento graduale della produzione di gas di scisto Usa”, si legge nel report di MUFG.
Nelle stesse ore in cui è stato diramato il report made in Japan, segnala l’articolo in questione, è arrivato l’alert inquietante di Mohammed al-Rumhi, ministro del petrolio e del gas dell’Oman, che ha avvertito che, nel caso in cui i produttori di petrolio decidessero di seguire i suggerimenti dell’Agenzia internazionale dell’Energia – quelli secondo cui, per arrivare all’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050, le aziende non dovrebbero effettuare mai più alcun investimento nel petrolio e in progetti di fornitura di combustibili fossili – i prezzi del petrolio potrebbero volare fino a $100 o $200 al barile.
“Raccomandare che non si investa più nel petrolio…credo che sia estremamente pericoloso – ha detto Rumhi nel corso di una conferenza sulla transizione energetica organizzata dall’agenzia e dall’Oman.
E’ stata di fatto la stessa Agenzia internazionale, lo scorso maggio, a raccomandare ai paesi produttori di oil di smettere di investire in nuovi progetti legati ai combustibili fossili, quando ha diramato un rapporto in data 18 maggio il rapporto “Net Zero by 2050: a Roadmap for the Global Energy Sector”.
Nel report è stata illustrata per l’appunto la roadmap per il settore energetico globale per portare le emissioni globali di diossido di carbonio (CO2) allo zero netto entro il 2050 e dare al mondo l’opportunità di limitare il rialzo della temperatura globale a 1,5 gradi.
Tra le più di 400 pietre miliari elencate nell’analisi per arrivare alle emissioni zero entro il 2050, c’è appunto quella che suggerisce di non investire in nuovi progetti di fornitura di combustibili fossili.
LEGGI IL RAPPORTO IEA (AIE in italiano)
Rumhi ha continuato:
“Se smettiamo di investire nell’industria dei combustibili fossili in modo brusco, il mondo finirà con l’essere affamato di energia e i prezzi, semplicemente, schizzeranno al rialzo. Nel breve termine potremmo veder concretizzarsi anche uno scenario con prezzi a $100 o $200 al barile“.
Da segnalare, per avere un metro di paragone, che l’ultimo outlook dell’EIA (divisione del Dipartimento di Energia Usa), lo Short-Term Energy Outlook diramato nella giornata di mercoledì, prevede che i prezzi del Brent rimarranno in media attorno a $71 al barile nel quarto trimestre, per poi scendere alla media annua di $66 al barile nel 2022, a causa- come ritengono gli analisti della banca giapponese – dell’aumento della produzione dell’Opec+, della maggiore produzione di gas di scisto e di una ulteriore offerta da parte di altri paesi non Opec. Uno scenario decisamente meno inquietante.