Opec + mantiene fede alle promesse fatte, prezzi petrolio schizzano al record dal 2018
Prezzi del petrolio solidi dopo la decisione dell’Opec +, l’alleanza che comprende i paesi Opec e non Opec come la Russia, di mantener fede a quanto pianificato già in precedenza.
Nei mesi di giugno e di luglio torneranno sul mercato 2,1 milioni di barili al giorno, ritmo determinato in base alle condizioni di mercato. Il prossimo meeting di aggiornamento sulla produzione di petrolio è stato fissato al 1° luglio.
Nel mese di aprile, l’alleanza aveva deciso di aumentare la produzione di 2,1 milioni di barili al giorno nel periodo compreso tra maggio e luglio. A ciò si aggiunge la mossa dell’Arabia Saudita, che sta gradualmente riversando sul mercato quell’offerta che aveva volontariamente tagliato, pari a 1 milione di barili al giorno, per sostenere i prezzi del crude affossati dalla crisi del Covid-19.
A dare una sferzata positiva ai prezzi, che salivano già prima dell’annuncio, è stato il commento rilasciato dal ministro dell’energia saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, che ha detto di prevedere una ripresa solida della domanda di Stati Uniti e Cina, i due principali consumatori di petrolio al mondo, aggiungendo che il ritmo delle vaccinazioni “può solo portare a un ulteriore ribilanciamento del mercato petrolifero globale”.
Dopo l’annuncio dell’Opec + e le suddette dichiarazioni, i futures sul petrolio crude WTI scambiati sul Nymex di New York sono balzati fin oltre $68, per poi chiudere in rialzo del 2,1% a $67,72, al record dal giugno del 2018. Il Brent è schizzato fino a $70,96 al barile sulla piattaforma di scambio ICE Futures Europe, per poi chiudere a $70,25, al valore di chiusura più alto dal maggio del 2019. E’ stata la prima volta dal 2019 che il Brent ha chiuso oltre la soglia psicologica di $70.
Oggi, alle 10 ora italiana, il WTI sale dello 0,32% a $67,91 al barile circa, mentre il Brent fa +0,40% a $70,55 circa.
“Il mercato sembra focalizzato su un outlook più costruttivo per la fine dell’anno, visto che l’Opec+ prevede un significativo calo delle scorte tra il mese di settembre e la fine dell’anno”, hanno scritto gli analisti di ING Economics in una nota.
La minaccia ai prezzi del petrolio rimane la possibilità di un accordo tra le potenze internazionali e l’Iran per ripristinare l’accordo nucleare del 2015 che era stato annullato dall’amministrazione di Donald Trump. Le trattative tra le controparti, stando a quanto reso noto da un funzionario iraniano e due diplomatici occidentali, dovrebbero fare una pausa nella giornata di domani.
Non è chiaro, tuttavia, se i negoziati riprenderanno prima del 18 giugno, data delle elezioni presidenziali in Iran.
La prospettiva di un accordo posticipato, hanno scritto gli analisti di ANZ Research in una nota, “allontana la minaccia di altri due milioni di barili al giorno di petrolio sul mercato alla fine dell’anno, quando l’ulteriore crescita economica dovrebbe fare da cuscinetto al suo impatto”.
In ogni caso è stato lo stesso segretario dell’Opec Mohammad Barkindo a minimizzare qualsiasi effetto che il ritorno dell’offerta di Teheran potrebbe provocare sui mercati.
Barkindo ha sottolineato di ritenere che un qualsiasi eventuale ritorno delle esportazioni iraniane “si verificherà in un modo ordinato e trasparente”.
Nessuna paura sull’effetto Iran neanche da parte di Howie Lee, economista presso Oversea-Chinese Banking Corp:
“C’è una certa fiducia ora nel fatto che il miglioramento della domanda dovrebbe permettere al mercato di assorbire quelli che potrebbero essere altri due milioni di barili al giorno dall’Iran, nel caso in cui (l’accordo) dovesse concretizzarsi”. E, in ogni caso, “è la domanda degli Stati Uniti che sta scatenando la ripresa dei consumi globali”.