Oggi è il Fed Day, Powell alle prese con fiammata inflazione: verso fine anticipata tapering per alzare i tassi dal 2022
Altro che tapering: per la Fed di Jerome Powell è arrivato il momento di affrontare la questione ‘rialzo dei tassi’. Negli States l’inflazione continua a galoppare e la crescita, nonostante le incertezze continue legate alla pandemia, rinvigorite ora con l’arrivo della variante Omicron, c’è. Inutile tergiversare, e Powell lo sa bene, visto che qualche settimana fa ha già detto che forse sarebbe il caso di smettere di affiancare l’aggettivo “transitoria” al termine di “inflazione”.
Chissà, si starà chiedendo qualcuno in queste ore, se prima o poi anche la Bce di Christine Lagarde affosserà l’accostamento.
Tra l’altro, se oggi è il Fed Day, ovvero il giorno in cui il Fomc – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve – annuncerà le sue decisioni di politica monetaria, domani è il Bce Day.
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L’annuncio del Fomc arriverà verso le 20 ora italiana di oggi, mercoledì 15 dicembre, al termine di una riunione di due giorni.
Outlook Goldman Sachs su dot plot e su cosa farà a suo avviso la Fed
Occhio alle previsioni degli analisti di Goldman Sachs che, così come Morgan Stanley, prevedono che la Fed raddoppierà il ritmo del tapering – negli States si parla già di turbo tapering – a $30 miliardi al mese – e che ritengono che il dot plot mostrerà due rialzi dei tassi nel 2022, tre strette nel 2023, quattro nel 2024, per un totale di nove strette nei prossimi tre anni.
Oltre all’outlook sul dot-plot, Godman Sachs ha snocciolato anche il proprio outlook su cosa, a suo avviso, farà la Fed.
I suoi economisti stimano che il Fomc alzerà i tassi nel 2022 tre volte, ovvero nei mesi di maggio, luglio e novembre (rispetto ai mesi precedentemente individuati ingiugno, settembre, dicembre), per poi alzare i tassi di altre quattro volte, due nel 2023 e due nel 2024, per un totale di sette volte fino alla fine del 2024.
Goldman Sachs a parte, gli economisti interpellati dalla Cnbc hanno detto di credere che il grande annuncio di oggi riguarderà il tapering, dunque la riduzione del programma di acquisti di asset da parte della Fed, ovvero il bazooka lanciato nel 2020 per fronteggiare l’emergenza della pandemia Covid-19 .
La Fed dovrebbe decidere di velocizzare i tagli degli acquisti – al momento i tagli ammontano ad appena $15 miliardi al mese, portando così il totale degli asset che vengono acquistati ancora ogni mese a $105 miliardi – raddoppiandoli e portandoli così a $30 miliardi.
In questo modo la fine del piano di tapering verrebbe anticipata, dal giugno al marzo del 2022, per lasciare la banca centrale con le mani libere per iniziare ad alzare, a partire dall’anno prossimo, i tassi sui fed funds, che sono ancora inchiodati, dall’anno scorso, nel range compreso tra lo zero e lo 0,25%.
Grande trepidazione per il dot plot, il documento che riassume le previsioni degli esponenti della Fed sul trend dei tassi: gli analisti stimano che il nuovo dot plot conterrà l’indicazione di due-tre aumenti dei tassi nel 2022 e di altre tre-quattro strette monetarie nel 2023, per un totale massimo di sette volte in cui i tassi dovrebbero essere alzati nei prossimi due anni. Da segnalare che nel dot plot precedente della Fed non c’era stato alcun consensus su un aumento dei tassi nel 2022, sebbene la metà dei funzionari prevedesse almeno una stretta nel corso dell’anno prossimo.
Interpellato dalla Cnbc il responsabile degli investimenti (CIO) di BlackRock, Rick Rieder, ha detto di ritenere che “l’uscita da una politica monetaria espansiva sarebbe dovuta avvenire già da tanto tempo”.Per Rieder, la Fed potrebbe alzare i tassi nel 2022, a suo avviso due volte, per procedere poi ad altre tre-quattro strette nel 2023.
“Credo che saranno i dati (macro) a determinare il momento in cui inizieranno (ad alzare i tassi) – ha precisato- Non credo che la Fed abbia deciso di iniziare in un trimestre preciso”.
Fed hawkish ma Powell più dovish? Il riferimento a Omicron
Certo è che la valutazione di Jerome Powell & Co sarà su come scegliere una politica monetaria che agisca contro le fiammate dell’inflazione senza far deragliare la ripresa dell’economia, alle prese con l’incognita Covid-19. Per questo è possibile che, a fronte di un comunicato più hawkish che potrebbe essere diramato nella serata di oggi dalla Federal Reserve, Powell continui a rilasciare dichiarazioni dovish, allo scopo di non traumatizzare il mercato.
Powell parlerà nel corso della conferenza stampa che inizierà alle 20.30 ora italiana, mezzora dopo la pubblicazione del comunicato e delle nuove previsioni da parte della Fed. Secondo Vince Reinhart, responsabile economista presso Dreyfus & Mellon, il numero uno della Fed parlerà di accelerazione dell’inflazione, ma probabilmente si soffermerà anche “sulle mutazioni del virus, sui rischi che incombono sull’outlook e su cosa potrebbe andare storto”.
L’inflazione scotta, e non solo in Usa. Occhio a boom in UK in vista annuncio BoE
Gli ultimi dati sull’inflazione Usa hanno fatto sicuramente drizzare le antenne alla Fed di Jerome Powell:
Ieri è stata diffusa l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi alla produzione, salito a novembre su base mensile dello 0,8%, oltre il +0,6% atteso dagli economisti. Su base annua, l’indice è volato del 9,6%, oltre il +9,2% stimato, al record di sempre.
L’inflazione core – misurata dal dato depurato dai prezzi dei beni energetici ed alimentari – è cresciuta del 7,7% su base annua, più del +7,2% stimato. Su base mensile, il trend dell’inflazione core è stato pari a +0,7%, rispetto al +0,4% previsto.
La scorsa settimana è stata resa nota l’inflazione misurata dall‘indice dei prezzi al consumo, balzata negli Stati Uniti dello +0,8% su base mensile, e del 6,8% su base annua, al ritmo record dal giugno del 1982.Gli economisti intervistati da Dow Jones avevano stimato un rialzo del 6,7%, anche in questo caso al record dal 1982, rispetto al 6,2% del mese di ottobre. L’inflazione Usa core misurata dall’indice dei prezzi al consumo esclusi i prezzi dei beni energetici e dei beni alimentari, è salita dello +0,5% su base mensile, scattando al rialzo dal 4,6% al 4,9% su base annua, in linea con le attese.
Un invito alla Fed affinché agisca è arrivato nelle ultime ore dal numero uno di Morgan Stanley, l’amministratore delegato James Gorman:
“Ci stiamo dirigendo verso un contesto di tassi di interesse in rialzo”, ha detto Gorman in una intervista alla CNBC, aggiungendo che, “se io fossi al posto della Fed, inizierei a muovermi (con un aumento dei tassi) più presto che tardi”.
“Che la Fed – ha aggiunto il ceo del colosso bancario Usa – metta da parte un po’ di munizioni e accetti la realtà“.
Occhio a tal proposito all’alert che è stato lanciato ieri dal Fondo Monetario Internazionale alla Bank of England.
L’Fmi ha avvertito la BoE contro il rischio che non agisca contro l’inflazione, consigliandole di non rimanere inerte di fronte al balzo dei prezzi visto che, secondo le stime dell’istituzione di Washington, l’inflazione UK toccherà probabilmente il record degli ultimi 30 anni l’anno prossimo, volando al 5,5%.
La Bank of England aveva già comunicato l’intenzione di aumentare i tassi di interesse, per riportare l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo al target del 2%. Tuttavia, nelle ultime sessioni, alcuni economisti avevano detto che la BoE avrebbe potuto anche decidere di posticipare di nuovo la stretta monetaria, visti i timori sulle conseguenze economiche della variante Omicron.
Ma la conferma dei timori del Fondo per il Regno Unito è arrivata proprio oggi con la pubblicazione, che è schizzata a novembre oltre le attese al 5,1%. La Bank of England, in teoria, ora ha proprio le mani legate. Riguardo alla Bce, non deve aver fatto piacere a Lagarde il record dell’inflazione, in Italia, dal settembre del 2008, che il Codacons ha definito un massacro e l’UNC una Caporetto per i consumi.