OPEC+ inerme alimenta il rally del petrolio, Brent all’attacco dei 120$
La guerra in Ucraina continua a far correre i prezzi delle materie prime ed in particolare il prezzo del petrolio con il Brent che è salito oltre i 119 dollari al barile, ai massimi dall’agosto 2013, mentre il WTI si è spinto fino ad area 116$.
A contribuire a una nuova fiammata dei prezzi nelle ultime ore è anche la possibilità che gli Stati Uniti taglino le importazioni di petrolio dalla Russia. A riferire questa ipotesi è stato il vice consigliere per la sicurezza Nazionale Usa Singh, in una intervista rilasciata alla CNN.
In generale gli effetti delle sanzioni alla Russia che hanno alimentato i timori sull’interruzione dell’offerta dell’oro nero. I maggiori acquirenti di petrolio si affrettano a cercare fonti petrolifere alternative al greggio russo e se la situazione dovesse peggiorare si farebbe sempre più pressante il rischio di una stretta dell’offerta.
Nel mentre ieri l’Opec+ ha di fatto ignorato la situazione geopolitica confermando il percorso di graduale aumento dell’offerta predisposto nei mesi scorsi. La Russia è il terzo produttore mondiale di petrolio, oltre ad essere uno dei principali esportatori, infatti, circa il 60% dell’export di Mosca è destinato all’Europa che paga circa 800 milioni al giorno per il greggio sovietico. Nella riunione di ieri, l’Opec+ ha deciso, malgrado la richiesta di maggiori sforzi, di tenere il rialzo giornaliero della produzione fermo a 400.000 barili e questo non ha fatto altro che alimentare i timori sull’offerta.
Dopo l’invasione dell’Ucraina decisa da Putin, i prezzi del Brent sono aumentati del 16% e continuano la corsa nonostante Stati Uniti e altri 30 Paesi hanno affermato che rilasceranno oltre 60 milioni di barili dalle loro riserve strategiche per arginare la complessa situazione.
L’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) ha avvertito che la sicurezza energetica globale è a rischio e nonostante il rilascio delle riserve di greggio da parte di molti Paesi ha fatto poco per reprimere le paure del mercato. L’agenzia ha riferito anche che le scorte di greggio degli Stati Uniti sono diminuite di 2,6 milioni di barili solo nell’ultima settimana, così come si sono ridotte le forniture di benzina.
Brent in Backwardation, che significa?
Se guardiamo alla struttura dei prezzi dei contratti future del petrolio vediamo come siamo in presenza di una situazione rara: il Brent è in Backwardation. Per capire cosa significa dobbiamo partire dalla curva Forward che si costruisce mettendo sull’asse verticale i prezzi dei future mentre su quella orizzontale tutte le scadenze dei future (da quella più vicina a quella più lontana). In teoria è normale avere dei prezzi crescenti ma mano che ci si allontana nel tempo, situazione di Contango, in cui la curva Forward ha inclinazione positiva, ma non è sempre così.
La situazione di Backwardation si verifica quando l’inclinazione della curva Forward è negativa e quindi le scadenze più vicine hanno prezzi al barile più alti rispetto alle scadenze immediatamente successive. Questa situazione si verifica quando c’è nervosismo e l’offerta di petrolio è in tensione non riuscendo a soddisfare la domanda e questo deficit fa esplodere i prezzi sulle prime scadenze.
In questo contesto sono sempre più le banche d’affari che alzano le stime sul petrolio. Goldman Sachs si aspetta un petrolio (Wti) a 115 dollari al barile entro fine mese in uno scenario base in cui non vi sia una chiusura totale delle forniture russe. Nello scenario peggiore, la banca d’investimento si aspetta un greggio a 150 dollari al barile.
L’aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime a cui stiamo assistendo, mostra i suoi effetti sull’inflazione. L’inflazione dell’area euro è balzata a +5,8% febbraio, al di sopra del consenso del 5,6%, e secondo molti analisti non abbiamo ancora raggiunto il picco.