Mps, l’Ue rimette in riga l’Italia su rispetto impegni. UniCredit: un addio o un arrivederci?
Su Mps l’Ue rimette in riga l’Italia, ricordando che il paese “deve essere all’altezza degli impegni” che ha preso con Bruxelles nel 2017, ai tempi della ricapitalizzazione precauzionale con cui lo Stato ha salvato la banca senese.
Quegli impegni sono chiari: il Tesoro, principale azionista della banca senese con una partecipazione pari al 64%, reduce dal flop delle trattative con UniCredit di Andrea Orcel, deve uscire dal capitale del Monte entro la fine dell’esercizio 2021 (ovvero entro dicembre oppure entro la data di approvazione del bilancio, dunque entro l’aprile del 2022).
L’attenti è arrivato da una portavoce dell’Unione europea, che ai giornalisti ha rimarcato che, “se l’Italia crede che ci siano altri modi per adempiere e per uscire dalla proprietà di Mps, spetta a essa avanzare proposte. Noi restiamo in contatto con le autorità”.
E sulla proroga che il governo Draghi avrebbe già chiesto alle autorità europee?
Nessun commento sulla questione cruciale del tempo. Dall’Antitrust Ue era arrivato un commento sull’istituto già nella giornata di lunedì, all’indomani del comunicato ufficiale con cui il Tesoro e UniCredit avevano annunciato il flop delle trattative. I toni del Dg Comp erano apparsi tuttavia più concilianti.
Indiscrezioni del quotidiano La Stampa parlano di un presidente del Consiglio, Mario Draghi, irritato, sia con il Tesoro che con UniCredit, per il modo in cui i negoziati sono stati portati avanti.
Non mancano neanche i motivi perché sia l’Ue a essere a sua volta irritata con l’Italia visto che, “secondo quanto riferito da una fonte all’agenzia Reuters, la proroga richiesta a Bruxelles potrebbe essere di ‘anni’ e non di qualche mese o un anno al massimo come circolate nelle scorse ore.
Nella giornata di ieri è arrivata intando la notizia della decisione della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche di convocare in audizione i numeri uno di UniCredit e Mps, rispettivamente Andrea Orcel e Guido Bastianini.
Attesa anche per l’audizione del ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, di cui al momento non si conosce la data.
Intanto, oggi il Foglio pubblica un editoriale in cui avverte: Occhio al neo populismo bancario.
Di fatto, c’è da dire, da quando è stata annunciata la rottura delle trattative tra Mps e UniCredit, l’impressione è che molti, in Italia, siano diventati di colpo banchieri ed esperti di finanza. Si è sentito di tutto e di più: basti pensare alle dichiarazioni dell’economista Giulio Sapelli che ha proposto per Siena la soluzione di una banca cooperativa, non mancando di lanciare un affondo contro la riforma delle banche popolari varata dal governo Renzi:
“Al posto di versare altri miliardi per consegnare la banca a un sicuro fallimento bisogna utilizzare i soldi che lo Stato dà come fondo di dotazione per una banca cooperativa. Basta con la storia della banca pubblica che è una cosa ridicola. Facciano una banca cooperativa dimenticando la vergogna che hanno fatto con la riforma Renzi contro le banche popolari e contro le banche di credito cooperativo”, ha detto Sapelli, in un’intervista rilasciata a La Notizia.
Il Foglio: gestione crisi Mps presenta rischio di ritorno populismo
Il Foglio scrive nell’articolo che “la gestione della crisi di Mps ha implicazioni politiche che possono essere pericolose per la stabilità del governo e presenta il rischio di un ritorno del populismo guidato da questioni legate alle banche. Il passato insegna: la sottovalutazione di problemi bancari è stato uno dei motivi per cui gli elettori hanno fatto mancare il sostegno ai referendum del governo Renzi a fine 2016 e poi hanno votato per partiti anti establishment e populisti nel 2018 (dgettando le basi per la formazione del governo M5S-Lega). Il Foglio sottolinea che è questa “l’opinione (saggia) di Lorenzo Codogno, già capo economista del Mef e fondatore della società di consulenza e ricerche di mercato LcMacro Advisors, secondo il quale il costo che i contribuenti finiranno per pagare è pari all’incirca a 10 miliardi di euto, ovvero quasi la metà del bilancio espansivo che Palazzo Chigi si appresta a varare”.
Il quotidiano illustra gli scenari di Codogno sul dossier Mps: uno di questi è che, ferma restando la proroga concessa da Bruxelles, il Monte lanci un aumento di capitale, ripulisca il suo bilancio dagli NPL e si ripresenti in forma agli occhi di UniCredit: una ipotesi di cui ha parlato ieri il segretario della FABI Lando Maria Sileoni e affrontata anche da un articolo di Formiche.net:
“In realtà – si legge nell’articolo di Gianluca Zapponini – , lo stop di ieri (riferimento a 24 ottobre, giorno in cui il flop tra il Tesoro e UCG è stato ufficializzato), non è il de profundis del Monte dei Paschi, anzi forse il preludio a una nuova mossa da parte della stessa Unicredit. Per rendere più digeribile il boccone, Unicredit potrebbe chiamare a raccolta alcune banche per mettere su una specie di cordata a trazione nordica per rilevare la parte sana di Mps. In questo modo, spalmerebbe lo sforzo su più giocatori. La proroga delle Dta per altri sette mesi, viene sottolineato, va proprio in questo senso: dare incentivi a chi vuole essere della partita. Dunque non è assolutamente escluso che nei prossimi giorni, prima che il ministro dell’Economia, Daniele Franco, riferisca in Parlamento e voli a Bruxelles a chiedere (non è scontato) una proroga di sei mesi per il disimpegno dello Stato da Siena pattuito due anni fa, Unicredit si materializzi a Via XX Settembre, magari in compagnia.
la seconda possibilità è che il Monte dia vita a un terzo polo bancario insieme a potenziali candidati come Banco BPM e Bper: ma per Codogno queste due banche “non hanno la dimensione e l’esperienza per digerire un boccone come il Monte”.
C’è poi l’opzione che sia una banca straniera ad accollarsi Mps, come si è vociferato negli ultimi giorni: i candidati sarebbero le spagnole Santander e BBVA e le francesi Société Générale, Bnp Paribas o Crédit Agricole. Oppure la qrta posssibilità, che secondo Codogno è comunque la meno probabile è la risoluzione della banca. Ovvero, per rispolverare la memoria, quanto spiegato in modo chiaro nel sito di Bankitalia, in riferimento alle regole europee sulla gestione delle crisi bancarie (BRRD).
Mps: opzione peggiore risoluzione, cosa dice la direttiva BRRD
A tal proposito, il riferimento è alla direttiva n. 2014/59/UE (cd Banking Recovery and Resolution Directive, BRRD), che ha introdotto in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento. La BRRD è stata recepita in Italia con i decreti legislativi del 16 novembre 2015 n. 180 e 181.
“Sottoporre una banca a risoluzione – spiega la Banca d’Italia -significa avviare un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l’utilizzo delle tecniche e dei poteri offerti dalla BRRD, mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento), a ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti. Le autorità di risoluzione possono sottoporre una banca a risoluzione se ritengono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- La banca è in dissesto o a rischio di dissesto (ad esempio, quando, a causa di perdite, l’intermediario abbia azzerato o ridotto in modo significativo il proprio capitale).
- Non si ritiene che misure alternative di natura privata (quali aumenti di capitale) o di vigilanza consentano di evitare in tempi ragionevoli il dissesto dell’intermediario.
- Sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti, di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali e, quindi, la risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico.
Le autorità di risoluzione possono avvalersi dei seguenti strumenti:
- Vendere una parte dell’attività a un acquirente privato.
- Trasferire temporaneamente le attività e passività a un’entità (ente-ponte) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato;
- Trasferire le attività deteriorate a un veicolo (società veicolo per la gestione delle attività) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli;
- Applicare il bail-in, ossia svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.