Mercati, superare le turbolenze del momento puntando su farmaceutici, materie prime e asset reali
L’economia globale sembra essere entrata in una spirale negativa di eventi che la condizionano. Nelle ultime settimane tre forti preoccupazioni hanno dominato i mercati: la guerra in Ucraina, il lockdown in Cina e l’inflazione. I primi due sono shock stagflattivi che indeboliscono l’economia facendo contemporaneamente aumentare l’inflazione che, a sua volta, erode i margini aziendali e il potere d’acquisto delle famiglie. Un loop “interminabile”, almeno in apparenza, che offre però anche delle opportunità agli investitori, come sottolinea un report di UBS WM. Le materie prime, gli asset reali e i titoli farmaceutici possono rivelarsi una scelta strategica vincente per superare al meglio questa fase così turbolenta.
Purtroppo la guerra in Ucraina non sembra essere avviata verso una rapida conclusione e, anzi, le tensioni tra Russia e Paesi occidentali sono aumentate con la fornitura di armi pesanti da parte degli Stati Uniti e degli alleati nonché con l’interruzione delle forniture di gas ad alcuni Paesi da parte della Russia. L’Europa è particolarmente esposta a una potenziale escalation della guerra in Ucraina, che farebbe salire ulteriormente i prezzi dell’energia e di altre materie prime. L’industria si trova in una fase delicata, i margini sono in forte contrazione e bloccare le forniture di gas manderebbe l’economia europea in recessione.
La Cina continua a seguire una strategia «zero COVID» che, secondo gli investitori, rischia di pesare sull’economia aggravando lo stress delle catene di fornitura globali. Shanghai ha vissuto un ulteriore lockdown e altre città, come Pechino, sono state sottoposte a uno screening di massa per milioni di cittadini. A marzo l’inflazione negli USA ha raggiunto l’8,5%: si tratta di livelli che non venivano toccati da quarant’anni e che, ancora una volta, hanno superato le aspettative degli economisti. Il tasso d’inflazione «core», ossia al netto dei prezzi dell’energia, si è attestato a sua volta su livelli molto alti al 6,5%.
Il fatto che l’inflazione «core» sia stata di soli 2 punti percentuali inferiore all’inflazione complessiva dimostra che l’aumento dei prezzi è ormai diffuso e ha contagiato molti beni e servizi. Qualche indizio fa pensare che l’inflazione statunitense potrebbe aver già toccato i massimi, ma nelle prossime settimane la Fed dovrebbe alzare i tassi di mezzo punto percentuale. I rendimenti dei titoli di Stato decennali degli Stati Uniti sono già saliti oltre il 2,8% e anche i rendimenti a 2 anni anticipano un’ulteriore stretta della politica monetaria attestandosi intorno al 2,5%. Il quadro è parzialmente diverso nell’eurozona, dove l’inflazione ha raggiunto ben il 7,5%, ma l’indice «core» (al netto dei prezzi dell’energia) si ferma circa al 3%, ossia meno della metà. Questo dimostra che il marcato rialzo dell’inflazione in Europa è stato alimentato in gran parte dai prezzi dell’energia e non ci sono, almeno per il momento, diffuse spinte inflazionistiche a livello domestico.
“Questa triplice sfida (guerra, lockdown, inflazione) presenta ovviamente dei forti rischi per l’economia e alcune aree potrebbero registrare qualche trimestre di crescita negativa (com’è successo negli Stati Uniti nel primo trimestre), ma non ci aspettiamo una recessione per l’economia globale o per gli USA – sottolinea Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy – Anzi, una recessione è improbabile anche per l’eurozona, nonostante la vicinanza al conflitto. Infatti, occorre infatti ricordare che siamo entrati nel 2022 a una velocità elevata, i servizi stanno recuperando per via della rimozione delle restrizioni legate al COVID e il livello di investimenti pubblici è molto elevato in Europa come negli Stati Uniti”.
Alla luce dei rischi geopolitici, del potenziale impatto dei lockdown cinesi sulla crescita e dell’incertezza circa una possibile stretta eccessiva della Federal Reserve, i mercati azionari ci sembrano destinati a rimanere volatili. “A fronte di uno scenario particolarmente incerto, nel complesso abbiamo riportato i portafogli vicini all’asset allocation strategica, cercando di prendere qualche misura per contenere la volatilità – suggerisce l’esperto di UBS WM – Per quanto riguarda l’azionario, raccomandiamo una maggiore esposizione ai titoli value (titoli con un rapporto prezzo/utili non elevato, che solitamente appartengono a settori tradizionali). Questi titoli normalmente risultano meno volatili rispetto alle società caratterizzate da una forte crescita”.
Quindi, le valutazioni da fare sono tante. La farmaceutica è considerata uno dei settori maggiormente difensivi e può giocare un ruolo in questa fase, oltre a presentare valutazioni inferiori rispetto alle medie storiche. Resta consigliata l’esposizione alle materie prime e alle società petrolifere. Alcune valute appartenenti a Paesi esportatori di materie prime, come il dollaro australiano, la corona norvegese e il dollaro canadese, possono fornire un ulteriore punto di ingresso in questo trend. La Cina è meno interessata dal conflitto in corso e ha una politica monetaria disallineata rispetto all’Occidente. Su questo mercato il rischio economico resta legato alla strategia «zero COVID», ma strategicamente l’azionario cinese può contribuire a una migliore diversificazione del portafoglio, anche considerando la dimensione della sua economia. Nel campo obbligazionario, i titoli con rendimenti negativi sono ormai rarefatti e si inizia a intravedere qualche opportunità. Infine, qualora l’inflazione dovesse rivelarsi persistente, l’immobiliare, i private markets e in generale gli asset reali potrebbero consentire di attutire l’impatto.