L’effetto collaterale dei tassi negativi lanciati dalla Bce: dopo shock Fineco arriva legnata UniCredit
C’è Fineco di Alessandro Foti, che ha scioccato il mondo dei correntisti con la sua nuova politica della serie o investi o ti chiudo il conto, invitando i clienti a smuovere i soldi parcheggiati sui conti correnti. E ora c’è UniCredit, che ha deciso di alzare l’importo del canone a partire dal mese di luglio, per i correntisti privati.
Brutto colpo per i clienti di Piazza Gae Aulenti, che hanno ricevuto alla fine di marzo una lettera, con tanto di “proposta di modifica unilaterale” del contratto My Genius.
La notizia, riportata da Business Insider con un varticolo firmato da Carlotta Scozzari, è che UniCredit aumenterà i canoni a partire dal prossimo 1° luglio, con addebito effettivo dal 1° agosto.
“Il costo mensile di My Genius salirà da 1,78 a 3,03 euro, (praticamente con un incremento del 70%), mentre per il contratto ‘transazionale silver’ si passa da 7,72 a 10,05 euro, per il ‘transazionale gold’ da 10,83 a 14,42 euro e per il ‘transazionale platinum’ da 19,97 a 23,56 euro. I canoni dei moduli ‘investimento platinum’ e “investimento gold’ restano invece fermi rispettivamente a 6,22 e 4,14 euro”.
Sia nel caso di Fineco che di UniCredit la motivazione, tra le tante, è l’ulteriore riduzione dei tassi di interesse interbancari come l’Euribor, il tasso utilizzato dalle banche nelle proprie operazioni di finanziamento. Calo dell’Euribor che è legato al calo dei tassi di interesse dell’area euro, e che praticamente vede come imputata principale la politica monetaria dei tassi negativi lanciata dalla Bce.
Lo ha detto tra l’altro lo stesso AD di Fineco, commentando la decisione della banca da lui gestita:
“Il motivo per cui la Bce ha portato i tassi d’interesse in negativo è per rendere costosa la liquidità e dunque per favorire il suo travaso verso lìeconomia reale. Ma se il meccanismo si inceppa, e la liquidità resta intrappolata come in una palude sui conti correnti senza finire in consumi o investimenti, allora abbiamo un problema. Noi vogliamo aiutare a risolverlo”, aveva detto in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore, poche ore dopo l’annuncio shock ai clienti, facendo capire chiaramente che, in un’era dei tassi negativi, per le banche i conti correnti sono ormai un costo.
Lo scorso 19 marzo, Morya Longo de Il Sole 24 Ore analizzava il paradosso delle banche nell’analisi “Non dateci troppi soldi: perché le banche lottano contro i grandi conti correnti”, commentando la decisione di Fineco ma non solo. Perchè il punto è che Fineco non è una eccezione, visto che le mosse anti-liquidità da parte dei vari istituti di credito sono destinate ad aumentare:
“Fineco minaccia di chiudere il conto a chi ha più di 100mila euro senza investirli, mentre Bper, UniCredit, Bnl e altri “tassano” le imprese con grandi giacenze. Ecco perchè i super-conti diventano un problema per le banche”, faceva notare l’articolo di Longo. E in data 24 marzo Il Giornale scriveva, facendo riferimento sempre al caso Fineco: “Altre banche, pur non minacciando la chiusura vera e propria dei conti, si stanno muovendo con l’obiettivo di disincentivare il risparmio: Bnl si appresta ad addebitare 1000 euro ogni trimestre alle giacenze superiori ai 100 mila euro, Unicredit è decisa ad introdurre una commissione di giacenza, Bper è pronta a minare i conti di nuova apertura di imprese e partite Iva superiori ai 100 mila euro con una rilevante commissione di liquidità, Banco Bpm ragiona su un sistema di commissioni proporzionali alle cifre depositate”
Nell’edizione Plus24 del Sole 24 Ore del 27 marzo, Gianfranco Orsini approfondiva la questione nell’articolo “Banche. Ecco come fanno pagare i tassi negativi ai clienti”, precisando che “per ora i clienti consumatori sono salvi”, visto che “nessuna banca ha previsto a oggi l’applicazione dei tassi negativi sui loro conti correnti”, ma precisando anche che “iniziano a essere più numerose le banche che prevedono indirettamente i tassi negativi per i clienti persone giuridiche, applicando spese di gestione della liquidità rapportate alle giacenze presenti sui conti, parlando di “commissioni che scattano per giacenze medie superiori anche a 100mila euro; in alcuni casi non solo per le nuove aperture di conto corrente, ma anche per i vecchi clienti con modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali”.
Tornando a UniCredit e alle novità che scatteranno a partire da luglio, anche Piazza Gae Aulenti, come Fineco, ha dato la colpa ai tassi Euribor.
Nella missiva, riporta Business Insider, si legge che UniCredit, ha motivato così la mossa del rialzo del canone a partire da luglio:
“il contesto di mercato in cui il sistema bancario si trova a operare è recentemente mutato, impattando in modo crescente sull’attività bancaria e in particolare sulle attività di deposito, gestione e remunerazione della liquidità di conto corrente”. In tale situazione, ha continuato Piazza Gae Aulenti, “si è verificato un peggioramento delle condizioni economiche di gestione della liquidità di conto corrente, legato principalmente al persistente andamento negativo dei valori dell’Euribor 3 mesi, che ha raggiunto stabilmente valori negativi al di sotto del Deposit facility rate (Dfr), ossia del tasso che Bce applica alle banche sulla liquidità che queste detengono presso la stessa”.
L’Euribor era stato chiamato in causa anche da Fineco, nella nota con cui aveva lanciato l’alert contro l’eccessiva liquidità parcheggiata sui conti correnti, con tanto di minaccia di chiudere i conti inattivi:
“L’ulteriore riduzione del tasso Euribor a 1 mese – si leggeva nella nota – non dipendente dalla sfera decisionale della banca, e la prospettiva che si mantenga su tali livelli per un periodo di tempo ancora lungo hanno determinato, tra gli altri effetti, un impatto sfavorevole sull’attività di gestione della liquidità, con particolare riferimento a quella depositata dai clienti sul conto corrente (specie se per lunghi periodi), rendendola ancora più onerosa per la banca.
Ma certo non si pouò neanche dare la colpa all’italiano che non investe a causa della cautela, provocata a sua volta dalla crisi scatenata dalla pandemia: molti sono i correntisti italiani che, in tempi di Covid-19 ancora in corso, l’economia in crisi, lo spettro dei licenziamenti, non se la sono sentiti proprio di utilizzare la liquidità depositata per fare investimenti di qualsiasi tipo. Non per niente, la pandemia ha coinciso con un boom di depositi, come ha rimarcato anche più volte Bankitalia.
E il fenomeno non ha caratterizzato soltanto le famiglie, ma anche le imprese. Lo scorso 18 marzo, in audizione in Commissione Finanze della Camera Alessio De Vincenzo, capo del Servizio Stabilità finanziaria della Banca d’Italia ha detto che, a causa del risparmio precauzionale accumulato, i depositi bancari delle imprese sono cresciuti di 90 miliardi nel periodo tra marzo 2020 e gennaio 2021. E il fenomeno del boom dei depositi, è notizia anche di oggi, se si considerano i dati snocciolati proprio stamattina da Bankitalia, che ha informato che, nel mese di febbraio, i depositi del settore privato sono cresciuti dell’11,3 per cento sui dodici mesi (contro il +12,3 in gennaio).