In attesa del Bce Day: mantra di Lagarde ‘inflazione transitoria’ atteso al varco
Cresce la trepidazione per la prima riunione del Consiglio direttivo della Bce, in calendario dopodomani, giovedì 3 febbraio.
Mercati nervosi, il mantra della presidente Christine Lagarde “l’inflazione è transitoria” è atteso al varco, ora più che mai: le rassicurazioni di Lagarde suonano sempre di più come una litania, in un momento in cui la Fed di Jerome Powell si appresta ad alzare i tassi sui fed funds, ammettendo di essere stata presa in contropiede dal boom dei prezzi.
Anche Powell, fino a qualche mese fa, asseriva infatti con convinzione che il balzo dell’inflazione, negli States, sarebbe stato temporaneo. Così, invece, non è stato (vedi trend del parametro preferito dalla Fed), tanto che il banchiere centrale è stato costretto a fare un brusco – e anche imbarazzante – dietrofront.
Ma gli Stati Uniti non sono l’area euro, ha ribadito più volte Christine Lagarde, e su questo nulla da obiettare.
Il punto è che i mercati monetari ormai scontano una stretta monetaria anche da parte dell’Eurotower nel corso dell’anno.
Non così presto come nel caso della Fed – le scommesse sono del primo rialzo dei tassi Usa dal 2018 nel meeting di marzo, e fino a cinque strette fino a fine 2022 -, e sicuramente non con la stessa intensità.
Mercati prezzano primo rialzo tassi Bce entro ottobre, probabilità 80%
Ma, così come riporta l’agenzia di stampa Reuters, i mercati stanno comunque prezzando un primo rialzo dei tassi targato Bce di 25 punti base entro il mese di ottobre, con una probabilità pari all’80%, e una stretta di 25 punti base con una probabilità del 100%, praticamente dunque con certezza, entro dicembre.
D’altronde, pur se rallentando il passo, l’inflazione in Germania è cresciuta di nuovo a un valore superiore a quello atteso dal consensus , e “al di sopra delle stime dei nostri economisti, che erano di molto superiori rispetto a quelle del consensus”, come hanno scritto in una nota riportata da Reuters gli analisti di Commerzbank.
Di conseguenza, “il rischio che la Bce acceleri il suo piano di uscita (dal PEPP, QE pandemico), è aumentato”.
Sul QE pandemico la stessa Lagarde ha detto nell’ultima riunione di dicembre che il piano di acquisti di asset si concluderà nel marzo di quest’anno. Detto questo, l’ex direttrice dell’Fmi ha anche annunciato che gli acquisti che avvengono con il QE tradizionale APP saranno raddoppiati nel secondo trimestre del 2022.
Per la Bce, insomma, è ancora necessario un accomodamento monetario affinché l’inflazione si stabilizzi all’obiettivo di inflazione del 2% nel medio termine.
Il punto è che l’inflazione dell’Eurozona continua a marciare spedita. Dunque se, come ha detto il responsabile della divisione tassi e credito di Commerzbank Christopher Rieger, la Bce “dovrà rivedere di nuovo al rialzo le proprie proiezioni sull’inflazione nel (prossimo) meeting di marzo, sarà difficile continuare a insistere che un aumento dei tassi sia ‘molto improbabile'”.
Bce, occhio ai Bund: tassi 10y positivi per seconda volta in un mese
Non per niente i tassi dei Bund tedeschi a 2 e 5 anni, quelli più sensibili al trend dei tassi di interesse, sono balzati ieri al ritmo più forte dal marzo del 2020, dunque dal periodo di inizio pandemia Covid; sempre ieri i tassi dei Bund a 10 anni hanno riagguantato il territorio positivo per la seconda volta nel mese di gennaio, tornando a oscillare al di sopra della soglia dello zero per centro per la prima volta dal maggio del 2019.
Ormai in Eurozona già si parla di fine imminente di quell’era di tassi negativi che è stata introdotta dall’allora numero uno della Bce, pra presidente del Consiglio, Mario Draghi, vicina a compiere otto anni: era il giugno del 2014, quando la banca centrale europea impose tassi di interesse negativi sulle riserve che le banche dell’area euro parcheggiano presso di essa. Una politica che, intaccando la redditività, ha angustiato non poco le banche, soprattutto quelle tedesche.
L’ultima volta che la Bce ha alzato i tassi è stato più di 11 anni fa, nel 2011. Certo, i titoli di stato che rendono al di sotto dello zero non sono certo una prerogativa dell’area euro, e parlare di fine di era di tassi negativi è sicuramente prematuro. E tuttavia, come ha indicato un articolo del Financial Times di qualche settimana fa, il ritiro delle misure straordinarie di politica monetaria accomodante da parte delle banche centrali di tutto il mondo ha portato il livello globale dei debiti che hanno un rendimento negativo a quota $10 trilioni per la prima volta dall’aprile del 2020, dopo il valore record di $18,4 trilioni testato alla fine del 2020, stando all’indice sul reddito fisso stilato da Bloomberg, attentamente monitorato.
Prima o poi, sostengono diversi economisti, se non al ritmo della Fed e della stessa Bank of England, Lagarde & Co saranno costretti insomma a muoversi.
Bce, ma l’ex ministro (ora UniCredit) Padoan lancia l’alert
Ma un alert su una eventuale stretta della politica monetaria in Eurozona è arrivato dall’ex ministro dell’Economia e presidente di UniCredit Pier Carlo Padoan. Nel corso di un webinar organizzato da Formiche.net, Padoan ha avvertito che una eventuale stretta da parte della Bce per contenere l’aumento dell’inflazione “potrebbe contribuire a portare l’economia europea verso una fase recessiva”.
“Un po’ di inflazione ci vuole per almeno due ragioni: fa aumentare il tasso di crescita nominale del prodotto e quindi aumenta la discesa del debito; con un po’ di inflazione generale c’e’ spazio per aggiustamenti dei prezzi relativi – ha spiegato l’ex ministro, ricordando che la fiammata delle pressioni inflazionistiche “in Europa è legata a fenomeni settoriali, per le strozzature dal lato offerta che colpiscono in particolare i settori energetici”. Proprio questo fattore, tuttavia, ovvero l’aumento dell’inflazione che non si spiega tanto con un boom della domanda ma con le restrizioni che colpiscono l’offerta è stato messo in evidenza da alcuni esperti. Nell’ultima edizione della sua rubrica settimanale “Il Rosso e il Nero” Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, ha fatto notare per esempio che “molte rigidità (dell’offerta), in particolare quelle legate alla deglobalizzazione e alla transizione energetica (nonché, forse, al mercato del lavoro), cominciano ad apparire strutturali“.
E che “la dolorosa esperienza delle due crisi petrolifere degli anni Settanta (due tipici shock da offerta) ha insegnato alle banche centrali che l’inflazione provocata dalle difficoltà dell’offerta va ignorata e non va combattuta frenando la domanda. Il che è giusto se gli shock sono temporanei, come fu il caso allora. Che fare però se le rigidità dell’offerta diventano strutturali? Ridurre la domanda o lasciare correre l’inflazione, permettendole di mettere radici?“.
A dir poco catastrofico il commento, invece, di Jeremy Grantham, investitore celebre noto per i suoi alert sulle bolle speculative, che ha già scioccato trader e investitori di tutto il mondo, parlando di super bolla a Wall Street, e che ha paventato una nuova era caratterizzata da inflazione, crescita più lenta e carenza di lavoratori . Avvertendo che “vivremo in un mondo di strozzature e di boom dei prezzi ovunque“.
Qualcosa di inevitabile, il cui dispiegarsi – secondo Grantham – nessuno riuscirà a fermare, viste la scarsità delle materie prime, i Baby Boomers che si apprestano ad andare in pensione, i tassi di natalità che scendono, i mercati emergenti che maturano e l’esplosione delle tensioni geopolitiche. Altro che inflazione è transitoria di Christine Lagarde.