Fed, il dado è tratto. Tassi, minaccia inflazione costringe Powell a diventare più hawkish
La Fed di Jerome Powell alza i tassi di interesse Usa per la prima volta dal 2018 e si conferma più hawkish, nonostante le incognite sull’impatto che la guerra tra la Russia e l’Ucraina avrà sull’economia mondiale, in particolare sull’economia Usa.
Ieri, mercoledì 16 marzo 2022, al termine di una riunione di due giorni del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, l’annuncio tanto atteso è arrivato:
la banca centrale Usa ha alzato i tassi sui fed funds di 1/4 di punto percentuale, al nuovo range compreso tra lo 0,25% e lo 0,50%.
La mossa era scontata dai mercati, che piuttosto attendevano di vedere il dot plot, il documento che contiene le aspettative degli esponenti del Fomc sul trend futuro dei tassi.
Ebbene, dal dot plot è emerso il volto più da falco di Powell & Co, così come è emersa la reale paura della Fed verso un’inflazione destinata a impennarsi più delle attese precedenti il conflitto in corso in Ucraina.
Dal dot plot è risultato infatti che la Commissione prevede ora sei ulteriori rialzi dei tassi in ognuno dei meeting rimanenti del 2022.
Per il 2023, le previsioni sono di tre ulteriori strette monetarie, mentre nessun rialzo è previsto nel 2024.
L’outlook sui tassi è stato rivisto al rialzo in modo significativo rispetto alle proiezioni diffuse nel mese di dicembre. Per la fine del 2022 la Fed di Jerome Powell prevede ora un aumento dei tassi sui fed funds fino all’1,9%, rispetto allo 0,9% previsto nel meeting di dicembre.
Per il 2023 i tassi sono attesi a fine anno al 2,8%, rispetto all’1,6% precedentemente atteso. Per il 2024 i tassi sono stimati invariati al 2,8%, rispetto al 2,1% precedente.
Infine, in un arco temporale di più lungo termine, i tassi sui fed funds sono stimati al 2,4%, meno del 2,5% precedentemente atteso.
Queste previsioni, contenute nelle proiezioni economiche diramate dalla Fed, non sono però incise nella pietra, tanto che gli analisti di Bloomberg Economics credono che la Fed potrebbe alzare i tassi, l’anno prossimo, fino al 3,25%, livello massimo dal 2008.
La priorità infatti, sia per la banca centrale che per l’amministrazione di Joe Biden, è combattere l’inflazione:
ridurre la corsa dei prezzi – nel mese di febbraio l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo è volata su base annua del 7,9%, al nuovo record dal 1982 – è considerato cruciale anche da diversi economisti, che ritengono che la Fed abbia agito ieri in grave ritardo, se si considera il rischio che l’inflazione possa diventare più radicata: rischio che aumenterebbe nel caso in cui le aziende decidessero di trasferire parte del peso dei costi che stanno sostenendo sulle spalle dei consumatori. In quel caso i consumatori potrebbero reagire chiedendo salari più alti, come sta già avvenendo.
L’effetto della guerra in corso in Ucraina e delle sanzioni dell’Occidente contro la Russia di Vladimir Putin ha già fatto schizzare il petrolio alle stelle, portando i prezzi alla pompa, negli Stati Uniti, a volare fino a 4 dollari al gallone.
Certo, i prezzi della benzina negli States potrebbero fare dietrofront, vista la ritirata dei prezzi del petrolio, che sono capitolati anche sotto quota $100, in calo di oltre 40 dollari rispetto ai picchi a 139 dollari toccati settimana scorsa, per l’esattezza il 7 marzo.
La flessione dei prezzi è stata scatenata non solo dalle speranze di un allentamento delle tensioni geopolitiche, ma anche dai lockdown imposti in Cina, a causa del boom dei nuovi casi di Covid.
E’ vero però che i mercati, con il fattore guerra, sono stretti nella morsa della volatilità, indecisi sulla decisione da prendere in un momento storico in cui non si comprende ancora bene come evolverà la scacchiera geopolitica mondiale.
Per ora l’impressione è che il mondo rischi di rimanere a corto di commodities, visto che la Russia, tra i principali produttori di materie prime al mondo, è praticamente isolata dal mondo.
I mercati temono però anche che la lotta all’inflazione possa avvenire a spese della crescita dell’economia, assediata ancora dagli effetti della pandemia.
Detto questo, ieri la borsa Usa non ha reagito male all’annuncio del rialzo dei tassi da parte della Fed: dopo una iniziale sbandata, Wall Street ha chiuso in solido rialzo, beneficiando in particolare delle dichiarazioni di Jerome Powell, che ha ricordato che i fondamentali Usa sono “molto forti”, al punto da riuscire a gestire tassi di interesse più elevati.
Il Dow Jones è balzato così di 518,76 punti (+1,55%), in rialzo per la terza sessione consecutiva per la prima volta in più di un mese; lo S&P 500 è salito del 2,24%, il Nasdaq Composite è volato del 3,77%.
Così, stando a quanto riporta il Guardian, ha commentato la stretta monetaria della Fed Jim Reid di Deutsche Bank:
“Sebbene ritenga che i rischi di una recessione Usa entro la fine del 2023/l’inizio del 2024 stiano crescendo, non credo che questi rischi siano particolarmente elevati nel 2022″. E comunque, ha puntualizzato Reid, “storicamente l’inizio di un ciclo di rialzi dei tassi non è un problema per l’economia o per i mercati azionari”.
Non sarà un problema, ma la banca centrale è stata comunque costretta a rivedere al ribasso in modo significativo le stime sul Pil e a procedere, anche, a un forte upgrade sull’outlook dell’inflazione nel 2022. Per il 2023 le previsioni sulla crescita del Pil sono state confermate, a fronte di una ennesima revisione al rialzo delle stime sull’inflazione.
Leggi anche Fed: le nuove stime su Pil, inflazione, disoccupazione Usa per il 2024
Il timore che la Fed sia comunque in ritardo e che debba procedere a strette monetarie più aggressive continua a togliere il sonno a molti economisti.
“Riuscirà la tabella di marcia che (la Fed) ha appena presentato a riportare l’inflazione a livelli più confortanti in un periodo ragionevole di tempo? – si è chiesto Jim Baird, chief investment officer di Plante Moran Financial Advisors, stando a quanto riportato dalla Cnbc – Certamente esiste la possibilità che (la Fed) diventi più aggressiva”
Tra l’altro, il cosiddetto Quantitative Tightening, ovvero la riduzione del bilancio monstre della Fed, che vale quasi $9 trilioni dopo essere stato ingolfato di tutti i Treasuries e gli asset garantiti dai mutui che la Fed ha acquistato nel corso degli anni con il QE, è ormai imminente.
Nel comunicato con cui è stato annunciato il rialzo dei tassi si legge infatti anche che “la Commissione (il Fomc, braccio di politica monetaria della Fed) prevede di iniziare a ridurre le esposizioni verso titoli Treasuries e titoli garantiti dai mutui nel prossimo meeting”.
Nella conferenza stampa successiva all’annuncio della Federal Reserve, il presidente Jerome Powell ha indicato che la riduzione del bilancio della banca centrale potrebbe iniziare a maggio, precisando che il processo potrebbe essere equivalente, tra l’altro, a un altro rialzo dei tassi nel 2022. Insomma, il dado è tratto: il ciclo dei rialzi dei tassi è appena iniziato. Ora bisognerà capire come reagiranno l’economia e i mercati, che pagano già i tempi di guerra.