Fed destinata a capitolare di fronte a boom inflazione: prosegue sell off scatenato su Treasuries Usa
Niente da fare, si continua a vendere Treasuries, ergo titoli di stato Usa: la paura di un’inflazione che negli States, complici gli effetti della guerra in Ucraina, non ha ancora toccato il picco, e di conseguenza le aspettative di una Fed super-hawkish sui tassi scatena la fuga dal mercato. Dopo aver scalpitato per 40 anni circa, i tori decidono di ritirarsi.
Il risultato è il boom dei tassi, che inanellano nuovi record quasi con cadenza quotidiana:
Bloomberg riporta come l’ennesimo smobilizzo dei Treasuries Usa delle ultime ore abbia portato i rendimenti decennali, nella giornata di ieri, a balzare anche oltre la soglia del 2,8%, al record dal dicembre del 2018; vari strategist, da quelli di JPMorgan Asset Management a quelli di MUFG Securities Americas, avvertono che i rendimenti potrebbero superare a questo punto anche la soglia del 3%.
Il parametro illustrato nel grafico dimostra, a tal proposito, che la fine del trend al ribasso dei rendimenti dei Treasuries a 10 anni – trend al ribasso che ha caratterizzato il mercato per decenni – dovrebbe essere sancita dal superamento della soglia del 2,83% da parte dei tassi decennali.
E ci siamo, ormai: “Questa è la nuova realtà per il mercato dei bond, dopo una corsa decisamente lunga. Dopo essere stati soppressi in modo artificiale, i rendimenti possono a questo punto soltanto salire”, ha commentato a Bloomberg Stephen Miller, consulente di investimenti presso GSFM, unità della canadese CI Financial, che prevede per i rendimenti decennali un rialzo fino al 3,5%.
“La Fed è stata lenta nel riconoscere l’arrivo dell’inflazione, il mercato è stato lento nel riconoscere che l’inflazione era davvero uscita dalla bottiglia, e ora stiamo tutti cercando di rimetterci al passo”, ha aggiunto Miller.
Tutto questo viene confermato da un parametro di Bloomberg che misura i rendimenti totali dei Treasuries, da cui emerge che, dall’inizio dell’anno, la perdita dei titoli di stato Usa è stata pari a quasi -8%, la peggiore su base annua da almeno il 1973.
Motivo: le aspettative su strette monetarie dalla Fed di Jerome Powell destinate a essere sempre più aggressive. A tal proposito, i trader che operano nel mercato degli swap stanno prezzando rialzi dei tassi da parte della Fed di oltre 220 punti base nel resto dell’anno, indicando dunque che la Fed potrebbe varare strette monetarie di mezzo punto percentuale (50 punti base) in ognuno dei prossimi meeting.
Il tonfo dei Treasuries ha scatenato un effetto domino globale, facendo puntare verso l’alto anche i tassi dei titoli di stato dell’Australia e della Nuova Zelanda, e portando i tassi dei titoli giapponesi a 10 anni a salire fino allo 0,24%, vicini al tetto stabilito dalla Bank of Japan, pari allo 0,25%. E la situazione potrebbe anche peggiorare: proprio oggi verranno diramati i numeri di marzo dell’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo.
La Casa Bianca ha avvertito di prevedere che il dato mostrerà una inflazione “straordinariamente elevata”. Gli economisti intervistati da Dow Jones prevedono una crescita delle pressioni inflazionistiche pari a +8,4% su base annua, al record dal dicembre del 1981.
Effetto domino anche sui tassi dell’Eurozona, con i tassi decennali dei Bund tedeschi schizzati al massimo dal 2015. E che dire dell carta italiana? I tassi dei BTP a 10 anni, che negli ultimi anni sono stati sempre stati sotto controllo, tenuti a bada da una Bce super dovish e inizialmente, anche dall’effetto del governo di Mario Draghi, viaggiano oggi al 2,53%, record dal 2019.
Sembrano davvero lontani i tempi in cui si parlava del #DraghiEffect, lontani i tempi in cui si parlava del presidente del Consiglio come di un Re Mida dei bond.
Era l’inizio di febbraio del 2021 quando lo spread BTP-Bund scendeva fin sotto la soglia dei 90 punti base, a fronte di tassi decennali che scivolavano al minimo storico dello 0,426%.
Ora, anche la Bce di Christine Lagarde appare destinata a diventare più hawkish, tanto che Goldman Sachs prevede un primo rialzo dei tassi in Eurozona già a settembre di quest’anno. La view della banca centrale europea sarà più chiara dopodomani, giovedì 14 aprile, quando si riunirà il Consiglio direttivo.
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Fine dei giochi dunque per i Treasuries Usa ma, in uno scenario di inflazione galoppante che ha dalla sua parte anche i venti di guerra, sembra proprio il caso di dire che la pacchia è finita non solo per il mercato dei Treasuries, ma anche dei BTP, dei Bund, e di tutti questi titoli di stato che, come dice l’analista Miller, sono stati blindati in modo artificiale, negli ultimi anni, dalle varie banche centrali. Grazie a una droga monetaria composta da tassi allo zero e da una immensa ondata di liquidità riversatasi sui mercati. Il famoso bazooka del Quantitative easing (QE), arrivato già al capolinea negli States e pronto a essere mandato in soffitta anche dalla Bce.