Notizie Notizie Mondo Evergrande: per S&P non ci sarà nessun bailout, non è ‘Too Big to fail’. Altro che Lehman Brothers della Cina

Evergrande: per S&P non ci sarà nessun bailout, non è ‘Too Big to fail’. Altro che Lehman Brothers della Cina

21 Settembre 2021 10:21

Dopotutto, Evergrande non sarebbe (forse) la Lehman Brothers cinese, definizione ripresa da diverse testate finanziarie mondiali.

Il titolo Evergrande continua a soffrire alla borsa di Hong Kong, alimentando i timori di una crisi finanziaria in Cina che possa travolgere anche i mercati globali.

Dopo il tonfo superiore al 10% della vigilia, le quotazioni cedono oggi il 4%, in flessione per la settima sessione consecutiva.

Nelle ultime ore il presidente di Evergrande ha tentato di rassicurare i mercati, affermando che il colosso sviluppatore immobiliare onorerà quanto dovuto agli investitori, ai soci, alle istituzioni finanziarie, agli acquirenti di proprietà immobiliari.

Allo stesso tempo, gli analisti di S&P hanno diramato una nota in cui affermano di non aspettarsi che il governo di Pechino intervenga in aiuto di Evergrande con una operazione di salvataggio stile bailout, “a meno che la stabilità del sistema non sia a rischio”. Il punto, infatti, ha spiegato l’agenzia di rating, è che “un bailout da parte del governo metterebbe a repentaglio la campagna (che Pechino sta portando avanti) di instillare una maggiore disciplina fiscale nel settore immobiliare“. Invece di un bailout, il governo potrebbe ricorrere a misure volte a facilitare le trattative tra il gigante e i creditori, per far sì che gli investitori individuali e gli acquirenti di immobili “vengano protetti il più possibile”.

Evergrande, Lehman Brothers Cina? S&P: non è Too Big to Fail

“Il governo vuole dare un aiuto, ma vuole anche che gli eventi facciano il loro corso – si legge nella nota di S&P –  tra l’altro, guardando al mercato immobiliare della provincia, c’è da dire la società è insignificante rispetto alla vasta economia locale di Guangdong”.

Insomma, “non è Too big to fail” e, in una situazione in cui “il default è probabile”, in particolare sui pagamenti degli interessi che Evergrande dovrebbe effettuare a partire da dopodomani su diverse obbligazioni emesse, S&P non vede alcun disastro globale imminente.

“Crediamo che il settore bancario cinese possa digerire un default di Evergrande senza che ci siano scosse significative, sebbene saremo attenti al potenziale di effetti di disturbo”, si legge nel commento.

La sensazione di panico – che ieri ha colpito l’azionario di tutto il mondo, già assediato dalla paura di una correzione imminente dopo i forti buy dei mesi scorsi, buy considerati eccessivi, da esuberanza irrazionale – si attenua oggi sulle borse globali.

I danni sofferti dalle borse sono stati comunque importanti, se si considera il tracollo di Wall Street, che ha visto il Dow Jones crollare di più di 600 punti; sempre ieri la borsa di Hong Kong, dove il titolo di Evergrande viene scambiato, è capitolata nei minimi intraday fino a -4%, per poi chiudere con un tonfo superiore al 3%. Ed è stato un lunedì nero anche per Piazza Affari, che ha assistito in particolare alla debacle delle banche.

Evergrande, la spina nel fianco delle obbligazioni offshore

Ma torniano alla domanda: quanto giustificato è il timore che Evergrande sia già o diventi la Lehman Brothers della Cina?

Alcuni analisti mettono in evidenza l’enorme ammontare di debiti, obbligazioni soprattutto offshore, che gravano sul bilancio dello sviluppatore immobiliare. Tra queste, ci sono bond offshore che presentano tassi di interesse pari al 15%, il che rende il versamento degli interessi, da parte di un gruppo alle prese con una forte crisi di liquidità, piuttosto arduo.

UBS ha calcolato tra l’altro che ben $19 miliardi dei debiti di Evegrande è composto da obbligazioni offshore.

La società è nota per fare affidamento in modo significativo anche sui commercial paper per pagare soci  e fornitori. Inizialmente, i prestiti contratti attraverso i commercial paper – nella maggior parte dei casi con scadenza  sei mesi – presentavano un interesse annualizzato pari al 15-16%. Ora, i tassi sono superiori al 20%. 

Qualche numero sul bilancio:

Alla fine di giugno, Evergrande contava asset totali per un valore di 2,38 trilioni di yuan, a fronte di passività per un valore di 1,97 trilioni. Dei quasi 2 trilioni di yuan di debiti, le obbligazioni con interessi si attestavano a 571,7 miliardi di yuan, in calo di circa 145 miliardi yuan dalla fine del 2020. Il calo si spiega però  con la decisione di Evergrande di dilazionare i pagamenti ai fornitori.

Oltre ai debiti con interessi presenti nel suo bilancio, ci sono inoltre tanti debiti non contabilizzati, quelli off-balance, il cui ammontare preciso rimane un mistero. Ed è probabilmente questa solita aura di mistero che caratterizza la corporate China a mettere ansia ai mercati

Così commenta le ore di panico mondiale su Evergrande Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr.

“La pietra dello scandalo sembra ancora la situazione del property developer cinese Evergrande. Ma non è che le ultime ore abbiano portato novità. Che in settimana sono previsti 2 pagamenti di cedole, e oggi (con un periodo di grazia di 24 ore) un rimborso di un loan, era noto. E che ci fosse il rischio concreto di un default, anche, come si nota dal livello dei bonds terminati sotto il 25% del valore facciale. Le autorità avevano già reso noto alle banche che non vi sarebbe stato alcun salvataggio, e di non aspettarsi pagamenti. Sembra probabile una ristrutturazione del debito. Bloomberg ha riportato la scorsa settimana (14 settembre) che il developer ha assunto dei professionisti della ristrutturazione. Per cui la situazione era già nota. Come mai questo scangeo improvviso?”.

Sersale ha spiegato:

La verità è che lo “slow motion crash” di Evergrande è stato a lungo snobbato dai mercati globali, e in minor misura da alcuni mercati globali (Lo Shanghai Composite è ancora positivo da inizio anno), inizialmente con l’idea che, secondo la tradizione cinese, sarebbe stata oggetto di bail out, e successivamente con la convinzione (non priva di fondamento, a mio modo di vedere) che le ricadute finanziarie sarebbero state gestibili. Ma questa è la settimana in cui il destino dell’immobiliare si dovrebbe conoscere e forse gli investitori hanno scoperto di esservi giunti un po’ troppo compiacenti, non avendo scontato a sufficienza un eventuale contagio verso il settore, e l’impatto sull’economia cinese (e quindi quella globale). Infatti, come insegna anche la crisi subprime del 2006-2009 in US, le immobiliari raramente falliscono da sole. Normalmente, se una si caccia nei guai, vuol dire che a) vi è una situazione poco sana nel settore e b) è la sua stessa crisi, se è abbastanza grosso come operatore, a mettere pressione al resto del settore. In Cina poi, il settore immobiliare è una parte importante dell’economia. Non solo, ma le aste di terreni sono un importante fonte di gettito fiscale per i Governi locali, che poi viene riciclato nell’economia. E’ evidente che una sofferenza del settore può avere un impatto non indifferente. E le condizioni di estrema leva e speculazione galoppante dell’immobiliare cinese sono note da anni. Quello che stiamo vedendo sono gli effetti di un tentativo di raffreddamento del settore da parte delle autorità”.

Ciò detto, siamo in Cina – ha ricordato lo strategist – e quindi una crisi finanziaria/bancaria derivante da una crisi immobiliare è improbabile: 1) E’ un economia meno finanziarizzata/di mercato di quelle occidentali, e le principali banche sono pubbliche e quindi non hanno problemi di capitale. 2) Anche se è evidente l’intenzione delle autorità di contenere la leva e la speculazione e riportare gli investimenti su livelli sostenibili, non credo proprio che vogliano ottenere l’aggiustamento tramite una crisi che semini perdite e disoccupazione. Tra l’altro, a novembre è previsto un Congresso del Partito Comunista che dovrebbe mettere giù le linee guida per il Congresso quinquennale previsto nell’autunno del 2022, nel quale è in gioco la conferma del Presidente Xi per un altro mandato ( link ). Sembra improbabile che le autorità cinesi vorranno arrivare a questo evento, il primo del genere da oltre un anno, con una crisi finanziaria in corso”.

Tutto ciò porta l’analista a concludere che “quindi si, questo di Evergrande e dell’immobiliare cinese è un problema serio e in grado di impattare sull’economia cinese in maniera percettibile nei mesi a venire. Ma al di fuori dei confini del paese il contagio dovrebbe essere solo indiretto, e anche all’interno del paese una crisi finanziaria dovrebbe essere evitata. E’ anzi probabile che le autorità opteranno per una politica monetaria più accomodante, per attenuare l’impatto della correzione del settore sull’economia. Al momento, però, con le scadenze di questa settimana il contagio si è esteso sui mercati cinesi e asiatici, aggravato dalla circostanza che una serie di chiusure per festività ( Shanghai, Shenzen, Taiwan, Tokyo, Seul) che ha ridotto la liquidità e limitato le piazze su cui i venditori hanno potuto sfogarsi. Il risultato è un’altra debacle per Hong Kong e le “H” shares, e perdite pesanti per Sydney (visto che l’economia australiana è assai legata a quella cinese) e in misura minore Mumbai e Jakarta. Inutile dire che le commodities non hanno gradito affatto, visto quanto pesa la domanda cinese sul comparto”.

Attenzione anche al commento di DWS nella CIO View, CIO Flash:

“L’imminente ristrutturazione del debito del secondo più grande sviluppatore immobiliare della Cina non deve sorprendere – si legge nel commento – Non ci aspettiamo una crisi finanziaria sistemica, poiché questo sembra ancora un evento del tutto particolare”.

Il motivo di questa view non apocalittica? DWS spiega nella nota dal titolo “Un tipo diverso di shock per la Cina?” che “alcune delle reazioni del mercato sono un po’ sorprendenti” e che “ci potrebbero essere alcuni effetti a catena nei prossimi giorni e settimane”. Detto questo, “non ci aspettiamo una crisi finanziaria sistemica, poiché questo sembra ancora un evento idiosincratico. Serve come promemoria, però, qualora ve ne fosse bisogno, per rimanere attenti nei confronti degli eventi di rischio che hanno origine in Cina”.

Ancora: “la recente crisi è iniziata quando il governo cinese ha iniziato a rendere esecutive alcune misure restrittive volte a far scendere/limitare il carico dei debiti nel settore immobiliare”, qualcosa tuttavia che già si sapeva.

“A partire dall’estate, i prezzi deboli del mercato immobiliare e gli acquisti contenuti effettuati nello stesso mercato come conseguenza delle restrizioni del governo hanno esacerbato la situazione, portando Evergrande a cancellare il pgamento dei tassi di interesse dovuto ieri 20 settembre”.

DWS ha fatto però notare anche che “sia le azioni che le obbligazioni di altri sviluppatori immobiliari cinesi altamente indebitati sono stati colpiti negli ultimi mesi, indicando che il potenziale di un credit event legato al segmento non possa essere considerato alla stregua di una grande sopresa dalla maggior parte dei partecipanti al mercato”.

Ciò significa che “gran parte delle notizie negative possa essere stata già scontata. E’ vero però anche che la situazione rimane fluida, e che è probabile che ci siano altre turbolenze nei prossimi giorni e settimane”

Barclays su Evergrande: no, nessun China’s Lehman Moment

Gli analisti di Barclays non hanno dubbi:

“Ci è stato chiesto ripetutamente nelle ultime settimane se un eventuale default di Evergrande potrebbe essere definito il momento Lehman per la Cina. Articolo dopo articolo, i media mainstream continuano a porsi lo stesso interrogativo. Dopo tutto, Evergrande è il secondo sviluppatore cinese, con debiti stimati alla cifra astronomica di $300 miliardi. E il suo default si sta manifestando alla metà di settembre, come avvenne in modo inquietante nel caso di Lehman, il cui evento si dispiegò nel settembre del 2008. Dunque, è questo il momento Lehman della Cina?”.

Barclays continua nel report “Why Evergrande is not China’s Lehman moment”:

“Neanche ci si avvicina, a nostro avviso. Sì, Evergrande è una grande società immobiliare. E sì, potrebbe (forse così sarà) esserci un effetto domino sul settore immobiliare della Cina, con implicazioni economiche. E ancora sì, tutto ciò avviene in un momento in cui la crescita della Cina ha già iniziato a deludere. Ma un vero momento Lehman è una crisi di una portata diversa: una che vedrebbe capitolare i creditori di gran parte del sistema finanziario, una che implicherebbe un forte aumento dello stress creditizio, con le banche che si eviterebbero nel mercato dei finanziamenti interbancari”, dando vita al congelamento del mercato del credito.

Per Barclays la situazione di Evergrande è invece molto diversa:

“Non solo i legami del settore immobiliare con il sistema finanziario non sono della stessa portata di quelli che caratterizzarono la banca di investimenti Usa, ma i mercati dei debiti non rappresentano l’unico, e neanche principale, strumento di finanziamento. Il paese è, in larga misura, un’economia basata sul comando e sul controllo“.

Ciò significa che “in uno scenario estremo, anche se tutte le società immobiliari cinesi perdessero l’accesso al mercato dei capitali (qualcosa che non si sta verificando e che è solo un rischio di coda in questo momento), le autorità di regolamentazione potrebbero ordinare alle banche di erogare prestiti a queste società, per farle sopravvivere”, consentendo loro praticamente di prendersi del tempo.

Barclays precisa che, con questo, non sta dicendo che “la Cina non potrebbe mai vivere un momento Lehman”. Ma, “con il sistema bancario che probabilmente verrebbe costretto a diventare fonte di finanziamento in caso di uno stress reale, la Cina farebbe fronte a una vera crisi finanziaria solo se le banche soffrissero problemi di finanziamento. Questo rischio è stato elevato nel 2015, quando il paese assistette a una fuga di capitali superiore al trilione di dollari”. Ma non è quanto sta avvenendo ora e, in ogni caso, le autorità ora hanno un controllo più forte su questo rischio.

Insomma, il problema c’è ma NO Panic, sembra essere il messaggio quasi unanime degli analisti e della stessa agenzia di rating Standard & Poor’s.