Emergenza Covid scardina priorità Fed: rivoluzione Powell a Jackson Hole, New Normal Usa cambia faccia
Nuovo linguaggio: ancora più flessibilità e tassi lower for longer, ovvero tassi più bassi per un periodo di tempo più lungo: così James Knightley, Chief International Economist di ING, commenta la svolta storica annunciata ieri dal numero uno della Federal Reserve, Jerome Powell, nell’aprire il simposio di Jackson Hole.
“Powell piromane (sull’inflazione) ma non pompiere (sui tassi): commenta invece Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte SIM.
Nel Day After del grande annuncio, che inaugura una nuova era per la Fed in tempi di COVID-19, gli analisti analizzano la portata delle novità snocciolate da Powell, che si incentrano principalmente su due pilastri: l’occupazione e l’inflazione. E che, con l’adozione dello strumento AIT (average inflation targeting) portano ufficialmente la Fed ad avere come target non un valore fisso del tasso di inflazione (finora del 2%), ma la media del tasso di inflazione.
Ll’idea che sta dietro all’Average Inflation Targeting è, infatti, la seguente: invece di avere come obiettivo quello di portare l’inflazione, nel medio periodo, al tasso target del 2%, con l’adozione dell’AIT la Fed dovrà assicurarsi che sarà la media dell’inflazione, al 2% e in determinato arco temporale, a dover essere raggiunta.
Ciò significa che, se l’inflazione rimarrà inchiodata al di sotto del precedente tasso target del 2% per un periodo di tempo, la Fed lascerà intendere ai mercati di puntare in futuro a un’inflazione al di sopra del 2%, facendo così in modo che non sia pari al 2% il tasso di inflazione, ma la media dello stesso.
Secondo gli strategist di Bank of America, il lancio di questo espediente rischia di rendere più complicato il lavoro della Federal Reserve, minandone la stessa credibilità. Non solo: dalle simulazioni degli esperti emerge che, così facendo, la Fed rischierebbe di rimanere con le mani in mano per 42 anni.
Una cosa è certa: nel tollerare in determinati archi temporali un tasso di inflazione superiore al 2%, la Fed diventerà ancora più colomba. Quella soglia del 2%, che è stato fino a ieri il fattore scatenante di un alert, che avrebbe portato la banca centrale americana a scattare subito, intervenendo con un rialzo dei tassi per impedire all’economia di surriscaldarsi, ha perso molto del suo significato.
Powell & Co. saranno disposti a tollerare tassi, seppur “moderatamente” – come ha detto lo stesso presidente della Fed nel discorso in via webcast – più alti, prima di inaugurare un nuovo ciclo di strette monetarie.
Il report di ING fa notare che, nella Revisione di politica monetaria presentata ieri (Review of Monetary Policy), la Fed sia stata motivata dalla constatazione che il “New Normal” per l’economia americana è cambiato. La pandemia del coronavirus-COVID-19, con le conseguenze disastrose del lockdown sull’economia mondiale ha scardinato la lista delle priorità. Per Powell il must, ora, è una nuova strategia che salvi i fondamentali Usa, garantendone la ripresa.
“In primo luogo – si legge nel report firmato ING – (la Fed) ritiene che i tassi di crescita di lungo termine dell’economia Usa siano scesi, a causa del calo della produttività e dell’invecchiamento della popolazione. In secondo luogo, si è smorzato anche l’outlook sui tassi di interesse neutrali (dove la crescita rispecchia il trend e l’inflazione è stabile); ancora, la terza riflessione è che tassi più alti di partecipazione al lavoro consentiranno vantaggi economici di crescita che saranno percepiti in modo più ampio. La quarta conclusione (a cui è arrivata la Fed) è che il punto in cui il calo del tasso di disoccupazione inizia a generare inflazione è sceso nel corso degli ultimi anni, limitando l’obiettivo di un rafforzamento significativo dell’inflazione nel medio-più lungo periodo”. Per capire cosa significa tutto questo, basta far riferimento alla frase cruciale con cui Powell ha detto chiaramente che, nella sua nuova strategia di politica monetaria, la Fed metterà l’occupazione davanti all’inflazione.
L’obiettivo sarà “la massima occupazione”, come inciso nel comunicato rivisto da Powell & colleghi. Di conseguenza, le decisioni di politica monetaria saranno prese in base alle “valutazioni sul calo dell’occupazione rispetto ai suoi livelli massimi”, piuttosto che “dalle deviazioni dal suo massimo livello” (come recitava il comunicato precedente). Secondo ING il messaggio è chiaro: la Fed non ha alcuna intenzione di alzare i tassi almeno nel breve periodo. Ma questo messaggio secondo Knightley non è affatto una novità, visto che “già dal dot plot emergeva che soltanto due esponenti (del Fomc) si aspettano un rialzo dei tassi prima del 2023”.
LE CONSEGUENZE DELLA SVOLTA STORICA DELLA FED SUI MERCATI
Ma quali conseguenze la nuova strategia della Fed avrà sui mercati?
Per il responsabile economista del gruppo bancario olandese, l’annuncio della Fed produrrà conseguenze soprattutto nel mercato dei Treasuries e nel forex. In particolare, i tassi dei titoli di stato Usa di più lungo termine potranno essere interessati da una pressione al rialzo, vista la maggiore tolleranza che la banca centrale avrà nei confronti di tassi di inflazione superiori al 2%.
Riguardo ai tassi di più breve termine e dunque alla parte frontale della curva dei rendimenti, il discorso è diverso, visto che, quando l’inflazione supererà il 2%, la Fed non si precipiterà ad alzare i tassi: questo significa che il valore dei tassi di brevissimo periodo sarà “più basso per un periodo di tempo più lungo (lower for longer)” e che dunque la curva dei rendimenti tenderà a farsi più ripida.
Dal canto suo che farà il dollaro, che è inizialmente sceso, segnando poi un forte rialzo per poi, nelle ore successive, ritracciare in modo significativo, scontando la politica monetaria Usa diventata più accomodante. (l’euro è ormai attorno a quota $1,19).
Così Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte SIM:
“Il discorso di Powell ha esplicitato ufficialmente l’atteso cambio di forward guidance, rendendo noto che c’è stata un’apposita riunione ad hoc della FED che, all’unanimità, ha approvato la modifica del framework di politica monetaria, la cui ultima versione risale al 2012, l’anno in cui la FED esplicitò il suo target di inflazione al 2%”.
“I cambiamenti apportati sono di fatto due – prosegue Cesarano – 1) tollerare un livello di occupazione al di sopra del massimo livello 2) portare il target di inflazione dal valore puntuale del 2% al valore medio del 2% nel tempo (over time). Powell ha poi argomentato lungamente sulle ragioni di questo cambiamento che spaziano dall’andamento demografico, i miglioramenti tecnologici fino all’evidenza dell’appiattimento della curva di Phillips. Interessante la reazione del mercato. L’annuncio del cambio di guidance è stato inizialmente accompagnato da tassi più bassi, oro in risalita e dollaro in deprezzamento a fronte di borse che hanno continuato a stazionare in prossimità dei record storici. Successivamente borse invariate ma capovolgimento di fronte su tassi, oro e dollaro.
“Come spiegare questa reazione? Utilizzando una metafora Powell ha acceso un fuoco (le aspettative di inflazione) senza però portare l’estintore (la garanzia di tassi contenuti nel tempo). In altri termini, gli operatori associavano l’ipotesi di tolleranza di inflazione più elevata a quella di impegno a contenere i tassi per lungo termine fino a non escludere l’ipotesi di yield curve control. Nel discorso di Powell il cambio guidance è arrivato ma nessun riferimento invece è stato fatto al tema tassi. E quindi ora cosa potrebbe accadere?”.
L’esperto ha fatto notare, facendo riferimento alla reazione degli asset finanziari al discorso di Powell, che gli operatori, “in vista di una FED che tollera una inflazione più alta”, hanno “riportato i tassi al rialzo, il che porta come conseguenza ad un apprezzamento del dollaro e a un calo dell’oro“. Ieri le borse hanno anche tenuto, visto che “un contesto con maggior inflazione per le aziende potrebbe comportare aumento del fatturato (più consumi oggi anziché in futuro) e potenzialmente dei margini”.
Secondo Cesarano la reazione immediatamente successiva ai vari annunci di Powell (dollaro su, borse che tengono, oro in calo) “potrebbe continuare nei prossimi giorni per cercare di fare pressione affinché la FED porti a qualche rassicurazione sui tassi in vista della riunione del 16 settembre, quando verranno anche aggiornate le previsioni dello staff su Pil, inflazione ed occupazione”.
“Un occhio di riguardo – consiglia il chief global strategist di Intermonte – però alle borse: l’iniziale effetto benefico di una FED più tollerante verso un’inflazione più alta potrebbe essere vanificata se i tassi dovessero risalire in modo più marcato e soprattutto rapido in vista del 16 settembre”.
E già oggi, almeno sul fronte del dollaro, la situazione si è di nuovo capovolta: il dollaro scende nei confronti delle principali valute, l’oro è in rialzo attorno a $1.960 e i tassi sui Treasuries Usa salgono, con quelli decennali che oscillano attorno allo 0,76% e quelli a 30 anni all’1,53%. Contrastati gli indici azionari asiatici ed europei.