Elezioni presidenziali e spread BTP-Bund: Draghi non più Mr Whatever It Takes per l’Italia?
Mario Draghi non più Mr Whatever It Takes per l’Italia: non più paladino dei BTP, scudo anti-spread, Re Mida dei bond, come qualcuno era arrivato a ribattezzarlo? Ma forse la domanda dovrebbe essere un’altra: noi italiani, abbiamo preteso troppo e pretendiamo tuttora troppo da lui, che sia nelle vesti di presidente del Consiglio che in quelle di possibile presidente della Repubblica?
Di tutto e di più è detto e si sta dicendo tuttora dell’ex numero uno di Bankitalia ed ex numero della Bce che fin subito, con i suoi modi british, ha adottato un atteggiamento low profile, preferendo non commentare le definizioni di chi lo aveva bollato subito come una sorta di Salvatore della patria.
Qualcosa a tal proposito lo ha detto solo ultimamente, nel corso dell’incontro con la stampa avvenuto con la conferenza di fine anno, quando ha fatto la seguente battuta:
“Se è vero che lo spread è più alto vuol dire che non sono uno scudo, il problema non c’è”.
Quello è stato anche il giorno in cui Draghi ha spiazzato i BTP manifestando un’apertura al Colle.
Con il caos Quirinale e in vista di ciò che succederà in queste elezioni presidenziali per la scelta del successore di Sergio Mattarella – con la candidatura di Silvio Berlusconi che agita ancora di più le acque – l’affollata platea di economisti, politici ed esperti di Italia presenta i diversi scenari che si stagliano di fronte all’Italia.
Mario Draghi nel caos Quirinale: non più Mr Whatever It Takes?
Con il caos Quirinale e in vista di ciò che succederà in queste elezioni presidenziali per la scelta del successore di Sergio Mattarella – con la candidatura di Silvio Berlusconi che agita ancora di più le acque – l’affollata platea di economisti, politici ed esperti di Italia continua a presentare in queste ore i diversi scenari che si stagliano di fronte all’Italia.
Tornano in mente le parole che l’ex presidente del Consiglio ed ex numero uno della Commissione europea Romano Prodi proferì nei giorni in cui si aspettava l’ascesa di Mario Draghi a Palazzo Chigi, nel febbraio del 2021.
In quei giorni di fine dicembre, prima che Mattarella chiamasse Draghi al Colle, Prodi aveva lanciato un chiaro monito, ricordando l’abitudine degli italiani di aspettare un salvatore per poi crocifiggerlo.
“Mario Draghi Doesn’t Have ‘Whatever It Takes’ Anymore“: scrive intanto su ForeignPolicy.com l’editorialista Adam Tooze, docente di storia, direttore dello European Institute alla Columbia University, e autore del libro “Crashed: How a Decade of Financial Crises Changed the World”.
I complimenti al lavoro svolto fin qui da Mario Draghi nelle vesti di presidente del Consiglio si sprecano: a Draghi e al suo governo Tooze riconosce il merito di aver “creato le condizioni per la ripresa”, di aver “contenuto la pandemia Covid-19 nel paese attraverso una spinta concertata alle vaccinazioni“.
Non solo:
“Il team di Draghi ha promosso una riforma della burocrazia e lo snellimento del sistema ‘arcano’ della giustizia penale. Anche la giustizia civile sarà riformata”. Certo, gli intoppi non sono mancati, con “la riforma del catasto che è stata ostacolata dalla Lega”. L’Italia, inoltre, “ha una storia terribile riguardo alla capacità di spendere i fondi ricevuti da Bruxelles. E con Draghi – continua Tooze – sia il ministero del Turismo che quello della Transizione ecologica, entrambi cruciali per la visione green dell’Unione europea – continuano a essere lenti nel presentare i loro piani di spesa. Riguardo ai veri investimenti e all’accelerazione della crescita sperata, solo il tempo potrà dirlo”.
Il problema è che “gli ostacoli a una crescita più rapida dell’Italia sono radicati e profondi, a fronte di istituzioni ormai ammuffite. C’è poca innovazione e poca ricerca e sviluppo. L’Italia compare soltanto al 33esimo posto dei paesi in cui si investe di più al mondo dal 2003, al di sotto non solo della Spagna ma anche della Romania. Paragonata alle ricche economie dell’Europa occidentale, la forza lavoro dell’Italia viene sottoposta a miseri livelli di formazione. Ci vorranno non solo mesi, e neanche anni, ma decenni per porre rimedio a questi deficit. E anche le previsioni più ottimistiche suggeriscono che il NextGenerationEU aggiungerà meno dell’1% all’anno alla crescita del Pil”.
Tooze lo dice chiaramente: “There is no guarantee, with or without Draghi at the helm, that Italy’s contradictions; and, with them, Europe’s, can still be managed”. Ovvero: “Non c’è alcuna garanzia, che sia con o senza Draghi al comando, che le contraddizioni dell’Italia e, con esse, quelle dell’Europa, possano essere ancora gestite”.
L’articolo ricorda gli applausi che la gestione dell’Italia da parte del governo Draghi ha ricevuto; il fatto che la crescita del Pil italiano del 2021 sia stata rivista al rialzo a “un incoraggiante tasso del 6%”. C’è poi anche la promozione dell’agenzia di rating S&P Global Ratings, che ha migliorato l’outlook sul debito italiano da ‘stabile’ a ‘positivo'”.
Ancora, “L’Economist ha definito l’Italia ‘il paese dell’anno’: si tratta di una buona notizia per l’Italia e per Bruxelles, che ha bisogno che l’Italia abbia successo per giustificare la scommessa sul programma NextGenerationEU“.
Italia ed Europa legate in un matrimonio infelice: Italy Too Big To Fail
Tooze cita il rapporto di interdipendenza che si è venuto a creare tra l’Italia e l’Europa, dunque con l’euro, salvato tra l’altro proprio dal “Whatever It Takes” di Draghi, che allora indossava le vesti di numero uno della Bce.
Con un debito di $2,9 trilioni e un rapporto debito-Pil che, dopo lo shock del Covid-19, è balzato al 158,5%, livello più che doppio di quello richiesto tuttora dal Patto di Stabilità e di Crescita -la cui riforma è comunque in essere – la “sopravvivenza finanziaria dell’Italia dipende dall’Europa. Dall’altro lato, parlando dell’area euro, l’Italia è troppo grande per fallire (Italy is too big to fail”.
Insomma: “L’Italia e l’Europa – sentenzia Tooze – sono unite in un matrimonio infelice“.
Quello che il lungo articolo più volte mette in evidenza è il peccato originale dell’Italia, ovvero la pericolosità del debito, fattore che fa sì che sull’Italia penda sempre una sorta di spada di Damocle: quella di una crisi del debito in stile 2011-2012, tanto più ora che “si avvicina la fine del programma di emergenza di acquisti di bond da parte della Bce”.
“Con un rapporto debito-Pil superiore al 158%, ci vorrà un bel po’ di buona volontà e di pazienza da parte degli investitori per impedire un balzo dei rendimenti dei BTP italiani e un pericoloso doom loop – abbraccio mortale (di solito l’espressione doom loop si riferisce all’abbraccio mortale tra le banche e i debiti sovrani da essere detenuti) dovuto a spese per interessi in aumento e livelli di debito sempre più insostenibili“.
Il docente della Columbia University insiste nel dire che “l’Italia ha bisogno di dimostrare di fare progressi per conquistare il favore necessario (da parte degli investitori) per stabilizzare il debito, attraverso misure fiscali comuni come il NextGenerationEU, l’allentamento delle regole Ue o l’intervento della Bce”.
Per ora, non potendo fare previsioni sulla reale capacità dell’Italia di avviare quelle riforme strutturali di cui necessita da decenni, il termometro per valutare la fiducia che gli investitori ripongono nel paese rimane l’andamento dello spread BTP-Bund a 10 anni: e purtroppo anche da questo fronte, le notizie non sono particolarmente positive.
Tassi BTP 10y più che doppi rispetto a fine governo Conte bis
Il #DraghiEffect è stato azzerato da tempo, anche se c’è da dire che un grande contributo a disperdere l’effetto Draghi è arrivato dal balzo dell’inflazione nell’area euro e dall’attesa di una Bce che, pur non dicendo addio alle sue politiche monetarie espansive, comunque si prepara a mettere il punto al suo piano di QE pandemico. Non è poco, soprattutto a fronte di un appuntamento politico così cruciale come quello delle elezioni presidenziali, che mette in forse la stessa tenuta del governo Draghi.
Interessante notare che lo spread BTP-Bund a 10 anni oggi è scambiato a 132 punti base, rispetto ai 135 punti base della fine del 2021 e in rialzo rispetto ai 116 punti base del 17 gennaio del 2021 (ben prima, dunque, che si dispiegasse il Draghi Effect), a fronte di tassi sui BTP decennali che oggi oscillano attorno all’ 1,28%, che erano all’1,17% alla fine del 2021 e più che doppi rispetto a 12 mesi fa, allo 0,61%, ai tempi del governo di Giuseppe Conte.
Intervistato dalla Cnbc Gilles Moec, responsabile economista di AXA Investment Managers, ha detto che finché c’è Draghi al timone, l’Italia ha “un capo e la sensazione di una direzione”.
“Nel 2021, l’Italia ha fatto bene”, ha aggiunto Moec, riferendosi al trend di crescita del Pil, anche se parte della crescita è da attribuire a “una ripresa meccanica” successiva al profondo shock del 2020. In ogni caso, a parte il base effect, c’è stato davvero secondo l’economista di AXA un “miglioramento reale”.
Detto questo – e si ritorna sempre alla solita questione – l’Italia “si trova ancora in una posizione complicata”, a causa del suo debito, in vista di un anno, quello appena iniziato, per cui le attese sono di una crescita dei rendimenti (dei BTP), dunque di un costo più elevato da parte del governo da sostenere per rifinanziare il suo debito. Dunque, conclude Moec, “il giudizio finale sarà su quanto velocemente il paese riuscirà a spendere (bene e in modo efficiente) i soldi in arrivo dall’Ue”, con il Recovery Fund.
Quirinale: scenari Natwest con relativi outlook spread BTP-Bund
Riguardo alla corsa per il Quirinale e al suo effetto sulla carta italiana, un articolo di Bloomberg ha riportato lo scenario firmato da Giovanni Zanni e Imogen Bachra di Natwest sullo spread BTP-Bund:
lo scenario più probabile per le elezioni presidenziali vede Mario Draghi rimanere presidente del Consiglio e una figura non divisiva – dunque non Silvio Berlusconi – diventare presidente della Repubblica.
In questo caso, il differenziale dovrebbe ridursi, secondo il report scritto il 13 gennaio scorso – di 7 punti base.
Certo, lo scenario ideale sarebbe lo status quo, con Sergio Mattarella pronto al Mattarella bis: in questo caso lo spread si ridurrebbe di 9 punti base.
Lo spread scenderebbe anche in caso di un presidente della Repubblica partisan (come Berlusconi), se Mario Draghi rimanesse premier: in questo caso il calo sarebbe ridotto tuttavia a -5 punti base.
Da Natwest sottolineano che, se Draghi accettasse e diventasse capo dello Stato, “il risultato sarebbe positivo anche in questo caso”, sempre se l’attuale maggioranza di governo venisse confermata.
Il rischio chiave si presenterebbe invece se “la coalizione perdesse la concentrazione sulle riforme e i partiti focalizzassero tutti i loro sforzi sulle prossime elezioni politiche, lasciandosi alle spalle i toni concilianti a cui abbiamo assistito finora”: in quel caso, secondo Natwest, lo spread si amplierebbe di 3 punti base.
Un presidente divisivo, inoltre, “destabilizzerebbe la coalizione di governo, ostacolando i progressi sulle riforme”: e qui la candidatura al Quirinale di Silvio Berlusconi rappresenta ovviamente un problema, visto che le tensioni potrebbero anche sfociare in elezioni anticipate.
Per Natwest il ritorno alle urne in via anticipata non fa parte tuttavia dello scenario più probabile, visto che è qualcosa per cui i parlamentari, in generale, non stanno al momento scalpitando.
Nel caso in cui – altro scenario – Draghi non diventasse nè presidente della Repubblica né rimanesse presidente del Consiglio, a fronte di una presidenza di parte, lo spread BTP-Bund potrebbe allargarsi di 10 punti base; e di 20 punti base se ci fossero elezioni anticipate.
Guardando nel breve, Natwest ritiene probabile che i BTP rimangano sotto pressione visto “il nervosismo politico, che si presenta in un momento in cui i mercati stanno cercando ancora di digerire la prospettiva di una Bce meno generosa in un contesto di offerta ancora elevata” di bond.
Allo stesso tempo, gli strategist sostengono che i fondamentali di lungo termine dell’Italia siano ancora solidi e che la fine del PEPP della Bce sia “meno spaventosa di quanto temuto”.
Nella nota si legge , di fatto, che “la crescita solida, insieme a una inflazione più alta, alle dinamiche generali di equilibri nel governo e al contesto persistente di tassi bassi stanno fornendo un supporto ai parametri di sostenibilità fiscale dell’Italia”. E che “queste sono variabili importanti da considerare, più e al di sopra di qualsiasi considerazione politica”.