ESG, in debito con il pianeta: l’inflazione climatica avrebbe spinto i prezzi su del 50%
Se i prezzi al consumo negli ultimi 50 anni avessero incluso il costo delle nostre emissioni di CO2, avremmo dovuto assistere a un rialzo sui prezzi del 50%. La stima sulla cosiddetta inflazione climatica è stata quantificata dall’analisi di Algebris. Gli esseri umani hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità (planetarie). Ogni anno, il Giorno del Superamento Terrestre indica la data in cui la nostra domanda di risorse ecologiche eccede la biocapacità della Terra, cioè quanto il pianeta può rigenerare ogni anno. Nel 2021, tale data è caduta il 29 luglio – indicando come la nostra impronta ecologica nei primi sette mesi sia stata sufficiente a esaurire l’intera capacità di rigenerazione annua. Agli umani servirebbero quasi due pianeti per soddisfare la domanda di risorse del 2021. L’ultimo anno in cui abbiamo consumato meno di quanto la terra potesse sostenere è stato il 1970. Da allora, l’umanità sta incorrendo in un crescente deficit. Se volessimo abbattere il debito accumulato col nostro pianeta, servirebbero 14.5 anni senza inquinamento. La teoria economica ci dice che deficit persistenti dovrebbero causare inflazione, ma il nostro deficit planetario non si è riflesso in prezzi più alti. Non abbiamo ancora dovuto pagarlo, ma presto dovremo cominciare a farlo.
In debito con il pianeta
Intuitivamente, esiste una quantità limitata di risorse che possiamo consumare senza erodere la biocapacità terrestre. Oltre tale livello, i consumatori dovrebbero pagare, come accade in qualsiasi altro mercato. I policymaker e le imprese globali stanno già facendo passi in questa direzione, tramite tasse sulle emissioni e politiche di inquinamento net zero. La domanda quindi è: quanto peserà la CO2 sulle spese dei consumatori, mentre continua questo processo di internalizzazione dell’inquinamento? Abbiamo stimato che i consumatori avrebbero dovuto sostenere un costo significativo nel corso degli ultimi 50 anni – nell’ordine di un 1% annuo in media del consumo pro capite delle famiglie nell’UE – se avessero dovuto pagare per il crescente deficit di CO2. Se tale effetto fosse stato incorporato nei prezzi, l’indice dei prezzi al consumo UE (CPI) sarebbe stato del 50% circa più alto di quanto stimato.
I rischi del clima
Il framework dei Planetary Boundaries (PB) offre un metodo di analisi semplice, definendo un ‘safe operating space’ globale per l’attività umana, al di fuori del quale il rischio di un cambiamento ambientale irreversibile cresce. Nel caso della CO2, il planetary boundary è un budget limitato del totale delle emissioni di gas serra (GHG) tollerabili. Il budget rimasto è all’incirca di 550Gt CO2 per rimanere al di sotto degli 1.5°C di riscaldamento globale, o 1000 Gt CO2 per tenersi sotto i 2°C. Per l’UE, il budget è 40 – 70 Gt CO2. Nel 1970 – l’ultimo anno in cui il carbon budget è stato in pareggio – le nostre emissioni di GHG sono state 14 Gt CO2, lo stesso livello che dovremmo raggiungere entro il 2050 per mantenere l’incremento della temperatura entro gli 1.8°C. Se ogni emissione in eccesso di tale livello sostenibile fosse stata prezzata a 60 EUR/tCO2, assumendo un pass-through completo ai prezzi dei prodottiiii, il costo annuale da pagare per il crescente deficit di emissioni sarebbe stato circa lo 0.4% dei consumi per capita delle famiglie nella media OCSE. Per il consumatore UE medio, questo costo sarebbe stato più che doppio (~1%). In mancanza di cambiamenti nei comportamenti delle persone (quindi assumendo che il pricing delle emissioni non avesse ridotto i consumi) il costo sarebbe cresciuto del 0.7% per i consumi medi OCSE e dell’1.7% per il consumatore UE medio. Il costo da pagare per le emissioni sarebbe quindi cresciuto più velocemente che la spesa per i consumi, che è circa raddoppiata negli ultimi 50 anni. Se assumiamo un prezzo più elevato per i prodotti più inquinanti, invece che un prezzo uniforme di 60 EUR, l’effetto in proporzione della spesa per consumi sarebbe maggiore.
Le risorse scarse
Negli ultimi 50 anni abbiamo consumato senza considerare il costo dello sfruttamento delle risorse scarse. L’ONU si aspetta che l’estrazione di risorse scarse cresca a 190 miliardi di tonnellate entro il 2060. Per rimanere in uno scenario sostenibile, tale quantità deve essere ridotta del 25%. Con un’elasticità di prezzo di circa 0.35v, raggiungere un tale calo richiederebbe prezzi più alti del 70-75% nel lungo periodo. Ciò implicherebbe che i prezzi per il consumatore medio europeo dovrebbero crescere dello 0.9% per anno. Un altro costo nascosto del nostro deficit di biocapacità è il crescente rischio fisico, derivante da fenomeni climatici estremi più frequenti e disastri naturali (come le recenti inondazioni in Germania o gli incendi in California). Il rischio fisco può impattare sui prezzi attraverso premi di assicurazione più alti, mentre interruzioni nelle catene del valore potrebbero diventare più frequenti per via dei danni al capitale fisico. Come abbiamo visto nel caso del COVID-19, questi shock dal lato dell’offerta tendono ad essere inflativi. Guardando avanti, potremmo doverne affrontare sempre di più e sempre più gravi. Complessivamente, le stime della BCE indicano un impatto del crescente rischio fisico sull’inflazione in un range tra lo 0.05% e lo 0.5% annuo, a seconda di come sarà gestita la transizione, se in modo ordinato o meno.
Le politiche e l’effetto inflazione
Stanno venendo introdotte politiche per l’internalizzazione delle esternalità che non venivano finora prezzate, settando piani di riduzione delle emissioni e ambiziosi obiettivi di inquinamento netto zero. Nel breve periodo, le emissioni diventeranno perciò più costose. Per garantire il raggiungimento del target di emissioni GHG per il 2030, la Commissione Europea intende accelerare la graduale riduzione della quantità di emissioni consentite nel suo Emission Trading System (ETS). Assumendo un prezzo per le emissioni tra i 30 e i 60 EUR/tCO2, pagare per l’eccesso di emissioni compatibile con un riscaldamento di 1.5°C aggiungerebbe un ulteriore 0.16%-0.32% ai prezzi in Europa. Allo stesso tempo, i picchi del costo dell’energia che stiamo osservando nel 2021 potrebbero diventare più frequenti. Le energie rinnovabili sono volatili – come l’eolico e le siccità che interferiscono con l’output dell’idroelettrico hanno mostrato di recente – e gas naturale e carbone compongono ancora il 40% delle fonti energetiche in Europa. La domanda di gas naturale dovrà crescere se più Paesi emergenti inizieranno la transizione dal carbone e, con l’energia nucleare considerata un tabù in molti paesi, ciò potrebbe portare a più frequenti picchi nei prezzi dell’energia. Anche se non abbiamo cercato di stimare la volatilità dei prezzi connessa alla transizione, vale la pena notare che ci vorrà del tempo per modificare il mix energetico e dovremo attenderci un impatto crescente delle fluttuazioni di domanda e offerta nelle variazioni dei prezzi dell’energia rispetto al passato.
Il target inflattivo
Le banche centrali hanno faticato per anni a raggiungere il loro target di inflazione del 2%. I nostri risultati suggeriscono che includere nel paniere dei prezzi al consumo il costo delle emissioni avrebbe fatto da solo metà del lavoro. L’inflazione da emissioni avrebbe pesato più del contributo dell’inflazione dell’energia in Europa negli ultimi 20 anni, considerato che la differenza tra inflazione totale ed inflazione core è stata in media del 0.75%. Mentre l’economia globale avanza verso una nuova fase di inflazione più elevata, le policies per internalizzare gradualmente le esternalità che non abbiamo pagato finora implicano una nuova causa di inflazione che le banche centrali devono riconoscere: l’inflazione climatica. Milton Friedman notoriamente disse che l’inflazione è un fenomeno monetario. La transizione verde ci potrebbe mostrare che l’inflazione sta diventando un fenomeno fisico che ne causerà uno monetario.