Didi paga cara la sfida lanciata a Pechino: Uber cinese annuncia delisting da Wall Street e quotazione a Hong Kong
E alla fine Didi Global, nota in tutto il mondo come l’Uber cinese, ha deciso di chinare il capo di fronte al volere del governo di Pechino: il colosso cinese dell’App per il noleggio di autovetture, tallonato dalle autorità da quando ha osato lanciare un’Ipo per quotarsi alla borsa di New York, ha fatto l’annuncio che analisti e investitori paventavano da mesi: procedere al delisting dal Nyse, a meno di sei mesi dallo sbarco a Wall Street, per procedere alla quotazione alla borsa di Hong Kong.
Dal comunicato del gruppo, emerge che le azioni Usa saranno soggette a conversione in azioni che potranno essere scambiate liberamente sull’Hang Seng.
Bloomberg Intelligence ha commentato la notizia affermando che la nota conferma la “nostra view secondo cui l’Ipo di Hong Kong avverrà prima del delisting dalla borsa Usa, fattore che implicherà la conversione delle ADR in azioni scambiate a Hong Kong, senza soluzione di continuità”.
La vicenda conferma la vittoria di Pechino sul mondo corporate made in China, in particolare sulle Big Tech cinesi: il titolo Didi ha pagato d’altronde cara l’Ipo lanciata a Wall Street, crollando del 45% circa dal prezzo di collocamento.
Furia Pechino si abbatte su Didi: Uber cinese costretta al delisting dagli Usa
I problemi sono iniziati subito, visto che il governo cinese era stato chiaro nel manifestare la propria opposizione allo sbarco del gruppo, proprio nel mercato azionario della prima potenza mondiale. Senza più Donald Trump e il suo mantra America First, i rapporti tra gli Stati Uniti (di Joe Biden) e la Cina di (Xi Jinping) sono indubbiamente migliorati, e le tensioniappianate: questo non vuol dire che Pechino non voglia avere il pieno controllo sulle aziende cinesi, e soprattutto che voglia sguinzagliarle nel mondo, tra l’altro proprio negli States.
Nel caso specifico di Didi, sembra che le autorità non abbiano mai digerito il fatto che la società fosse andata avanti con il suo piano di Ipo in Usa, nonostante la richiesta di aspettare l’esito delle indagini sulle misure da essa adottate per garantire la sicurezza dei dati.
Tra le più grandi Ipo lanciate a Wall Street negli ultimi dieci anni, Didi è sbarcata sul Nyse il 30 giugno di quest’anno: nel suo primo giorno di contrattazioni a New York, le cose sono andate bene, con il titolo che ha debuttato a un prezzo superiore fino a +19% rispetto al prezzo di collocamento.
Pechino ha tuttavia iniziato a mettere subito i bastoni tra le ruote di Didi, con l’Agenzia cibernetica cinese che ha ordinato agli store cinesi online di rimuovere 25 APP gestite da Didi, intimando inoltre alla società di sospendere la registrazione di nuovi utenti in Cina: citata come motivazione la preoccupazione per la raccolta di dati personali degli utenti.
Pechino ha sferrato poi un altro attacco alla Uber cinese rimuovendo l’APP di Didi dal servizio di messaggistica di Tencent, WeChat, e da Alipay di Ant Group.
A ogni annuncio di Pechino, il titolo Didi ha reagito con forti perdite a Wall Street, fino al bilancio del tonfo pari a -44% dal giorno dell’Ipo. Ieri il titolo ha chiuso a $7,80.
Delisting forzato: in pericolo anche Alibaba?
Bloomberg ha commentato l’addio al Nyse parlando di “una mossa senza precedenti, che mette in evidenza le profonde preoccupazioni di Pechino per il rischio che dati sensibili cinesi arrivino nelle mani del suo rivale geopolitico”, e che “conferma anche fino a che punto il governo cinese è pronto ad arrivare pur di punire chi non soddisfa i suoi desiderata”.
Didi non è certo l’eccezione: Pechino starebbe lavorando su una nuova normativa tesa a impedire a tutte le società cinesi che gestiscono dati considerati sensibili di quotarsi all’estero.
Cosa potrebbe succedere dunque ad altri colossi quotati sul Nyse, Alibaba in primis?
I timori degli investitori sono stati scontati nella sessione di oggi dai titoli delle Big Tech quotate a Hong Kong, come Tencent, Alibaba e Meituan, che hanno perso fin oltre il 4%, deprimendo l’Hang Seng.
A tal proposito, vale la pena di sottolineare come la furia di Pechino che si è abbattuta quest’anno contro i giganti cinesi ha provocato sell off tali sui relativi titoli al punto che Alibaba, per fare un esempio illustre, ha visto andare in fumo una capitalizzazione di mezzo trilione di dollari ($526 miliardi) nell’arco degli ultimi 13 mesi, scivolando ai minimi di sempre.
“Credo che la Cina abbia messo in chiaro di non volere più che le società tecnologiche (cinesi) si quotino a Wall Street, in quanto in questo modo finirebbero sotto la giurisdizione delle autorità di regolamentazione Usa – ha commentato alla Cnbc Aaron Costello, responsabile della divisione Asia presso Cambridge Associates- Di conseguenza, la nostra opinione è che quasi tutte queste società tecnologiche quotate in Usa si riquoteranno a Hong Kong o nella Cina continentale“.
Alibaba, il colosso dell-e-commerce fondato da Jack Ma, sconta dunque anch’essa il timore di un delisting dalla borsa americana.
Bloomberg ha già previsto un esodo di diversi gruppi tecnologici cinesi al momento quotati a Wall Street e non quotati invece alla borsa di Hong Kong o in altre borse cinesi: tra questi ci sono Tencent Music Entertainment ma anche i produttori di auto elettriche Li Auto e XPeng.
Intanto, l’emorragia dai titoli tecnologici della borsa di Hong Kong continua. Oggi il sottoindice dell’Hang Seng che monitora il trend dei titoli hi-tech, ovvero l’Hang Seng Tech Index, è capitolato fino a -2,7%, prima di chiudere in ribasso dell’1,5%, al minimo da quando è stato lanciato nel luglio dello scorso anno.
L’indice ha visto andare in fumo un valore di mercato combinato di circa $1,5 trilioni dal picco testato nel mese di febbraio.
Ma le minacce di delisting dalla borsa Usa arrivano anche dalla Sec
Tra l’altro, anche gli Stati Uniti non stanno rimanendo certo con le mani in mano: le autorità di mercato statunitensi hanno appena annunciato un piano, volto a emanare una nuova legge che costringerebbe le società straniere quotate a Wall Street a mostrare il contenuto dei loro libri contabili, pena il rischio di essere cacciate dalla borsa Usa nel giro di tre anni.
Sono più di 270 le ADR cinesi scambiate negli Usa, con una capitalizzazione combinata di $1,8 trilioni: di queste, più di 150 non sarebbero tuttavia qualificate per essere scambiate a Hong Kong.
“In generale, a Hong Kong le azioni vengono scambiate a multipli inferiori” rispetto a quelle Usa, ha commentato l’analista di Bloomberg Intelligence Marvin Chen. Il che significa che, “nel contesto attuale, sicuramente le aspettative sulle loro valutazioni verrebbero resettate”, nel caso in cui le società decidessero di quotarsi alla borsa di Hong Kong.
Si spiega così il fatto che NetEase, Bilibili e JD.com, tutte con American Depositary Receipts, siano state oggi le azioni che hanno perso di più nel sottoindice Hang Seng Tech Index, scivolando ciascuna di oltre -4,7%. Le flessioni hanno fatto seguito al trend del Nasdaq Golden Dragon China Index che, nelle contrattazioni overnight, è precipitato al valore più basso in quasi 19 mesi negli Stati Uniti.