Carige: nessun ritorno in Borsa in pompa magna. Titolo oggi fa prezzo per poi entrare subito in asta
Nessun ritorno in Borsa in pompa magna per Carige, il titolo della banca ligure riapprodato a Piazza Affari nella giornata di ieri, martedì 27 luglio, dopo essere stato sospeso per due anni e mezzo: era stata la Consob a congelare la negoziazione dei titoli emessi o garantiti dalla Società il 2 gennaio del 2019, a seguito della decisione della BCE di porre la Banca in amministrazione straordinaria.
Quella procedura si è conclusa il 31 gennaio del 2020, gettando le basi di una nuova era per l’istituto di credito.
Certo i tempi si sono fatti più lunghi a causa dei problemi e disagi vari provocati dalla pandemia Covid-19, ma era un po’ che sui mercati circolavano voci sull’imminente ritorno in Borsa del titolo.
La scorsa settimana, la grande notizia, con la Consob che, approvando la pubblicazione del prospetto informativo di Carige, ha disposto la revoca della delibera di sospensione del titolo, stabilendo a martedì 27 luglio la data di riammissione delle azioni.
“Per l’effetto della revoca – si leggeva nel comunicato – oltre alla negoziazione delle azioni troverà avvio la negoziazione dei Warrant e del prestito subordinato ‘Banca Carige S.p.A. 2019-2029 Callable Tasso Fisso con Reset Tier II’ (il ‘Bond’), per un valore nominale complessivo di 200 milioni di euro, interamente sottoscritto da primari investitori istituzionali, avente caratteristiche idonee per essere computato nel patrimonio di vigilanza della banca”.
Carige: titolo oggi +26% ma subito in asta
Ieri, il giorno tanto atteso, che tuttavia, per tutta la seduta, ha visto il titolo Carige non riuscire a fare prezzo. L’azione ha poi chiuso a 0,6318 euro, riconoscendo così alla banca ligure una capitalizzazione di 477 milioni.
Nessuna corsa insomma ad accaparrarsi il titolo, con il valore di chiusura che è tra l’altro inferiore del 57,8% rispetto all’ultima chiusura precedente alla sospensione del titolo avvenuta, come già detto, all’inizio del 2019. Tra l’altro, considerata l’incertezza in cui versa la banca – con il maggior azionista Fitd (Fondo interbancario di tutela di depositi) a caccia di un partner a cui sbolognare la sua partecipazione e con Banco BPM e Credem entrati in data room ma senza alcun entusiasmo – Borsa Italiana ha vietato l’immissione di ordini senza limiti di prezzo sulle azioni e sui warrant: obiettivo, evitare la volatilità del titolo.
Oggi, il titolo ha fatto prezzo a 0,80 euro, entrando in asta con un rialzo di oltre +26%. Ai prezzi attuali, la capitalizzazione ammonta a circa 604 milioni di euro.
Facendo un paragone con il prezzo di Borsa ultimo precedente alla sospensione del titolo stabilita dalla Consob, vale la pena ricordare che questo equivaleva 0,0015 euro, in data 28 dicembre 2018, prima che la banca venisse commissariata dalla Bce. Il prezzo assegnava a Carige una capitalizzazione di 82,9 milioni di euro.
Carige: a fine 2019 veniva salvata per la quarta volta in sei anni
Il risanamento dell’istituto è stato reso possibile grazie a un aumento di capitale di 700 milioni di euro che ha rivoluzionato l’azionariato di Carige con Fitd primo azionista, e Cassa Centrale Banca (CCB) con una quota del 9%, ma con il diritto di acquistare tutte le azioni del FITD e di salire quindi ad una quota compresa tra l’82% e il 91%.
La ricapitalizzazione è avvenuta al prezzo di sottoscrizione pari a 0,001 euro ed è stata seguita dal raggruppamento dei titoli (1 ogni 1000 esistenti).
Carige veniva salvata alla fine del 2019 per la quarta volta in sei anni.
Di fatto Banca Carige aveva bruciato dal 2014 in avanti quasi in toto i 2,2 miliardi di euro circa di ricapitalizzazioni messe in atto.
A rivelarlo, nel corso dell’assemblea straordinaria dell’istituo, era stato nel settembre del 2019 uno dei commissari straordinari della banca, Fabio Innocenzi, che aveva ricordato come, dal 2014 fino ad allora, la banca avesse perso il 98,3% dei circa 2,2 miliardi di ricapitalizzazioni fatte.
Nel dettaglio sono stati tre gli aumenti di capitale che si erano susseguiti in quegli anni, rispettivamente per 850, 800 e 560 milioni.
Alla fine di maggio del 2020 l’assemblea degli azionisti dava il via libera all’operazione di raggruppamento delle azioni , con Carige che precisava in una nota che il raggruppamento avveniva “nel rapporto una nuova azione ordinaria, avente godimento regolare, ogni 1.000 azioni ordinarie esistenti e una nuova azione di risparmio, avente godimento regolare, ogni 1.000 azioni di risparmio esistenti”. La nota sottolineava che le operazioni avrebbero potuto essere attuate “entro e non oltre il 31 dicembre 2020”.
Nel settembre dello scorso anno la banca tornava a dare indicazioni finanziarie dopo più di un anno, con l’amministratore delegato Francesco Guido, che sottolineava come l’istituto presentasse uno dei profili di rischio più bassi in Italia”.
Carige in cerca di sposo ma potenziali pretendenti freddi
La situazione di Carige si è inevitabilmente complicata con le richieste che sono state presentate dal secondo azionista, Cassa centrale banca che ha presentato una proposta, per esercitare il suo diritto di opzione e acquisire la quota dell’80% dell’Fitd, tale da replicare il modello Intesa-banche venete, oltre a volere anche una dote da 500 milioni, mandando all’aria i piani precedenti e rigettando Carige nell’arena del risiko bancario.
Da lì (marzo 2021) sono tornati i timori per il futuro della banca, di nuovo preda di un mercato che tuttavia non scalpita affatto per averla, tanto che qualcuno ha fatto l’inevitabile paragone con l’altra patata bollente del sistema bancario italiano: Mps, con la differenza che Carige, in teoria, vanterebbe un numero ben più alto di pretendenti.
“Carige è oggi controllata dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) che ha avviato la cessione della propria quota. Sono interessati Banco Bpm, Bper, Credem e Crédit Agricole. Ogni progetto di consolidamento e aggregazione crea sovrapposizioni di attività e di sportelli, un tempo ambiti e di grande valore, oggi trattati spesso alla stregua di fardelli fisici. L’Antitrust è attento a due parametri, uno provinciale e uno nazionale”, scriveva il Corriere qualche giorno fa.
Forse più pretendenti rispetto a quelli in fila per Mps (per la banca senese ci sarebbe solo il fondo Apollo, a fronte di una UniCredit ancora recalcitrante e in attesa di una ghiotta dote di Stato), ma tutti piuttosto freddi. Non per niente è stata la stessa banca ad avvertite i potenziali investitori sul titolo, in vista del suo ritorno in Borsa, dei rischi che correrebbero. Anche perchè, di nuovo, si parla di un aumento di capitale, che ammonterebbe a 400 milioni di euro.