Borsa Hong Kong tramortita di nuovo dai sell. Tra paura delisting, delusione tassi e Covid capitola del 5,72%
C’è la paura del delisting da Wall Street di colossi del calibro di Alibaba e JD.com; ci sono i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, isolata da tutto il mondo, che alimentano i sospetti sul ruolo che la Cina voglia davvero ricoprire sulla scacchiera geopolitica internazionale. Pechino tenderà la mano a Putin oppure prenderà le distanze, come emerso dal no al Cremlino di qualche giorno fa?
Le incognite si stanno riflettendo sui mercati finanziari, a scapito dei titoli delle società cinesi, che da un po’ di giorni crollano a Wall Street, a Shanghai e a Hong Kong.
In particolare, dopo il tonfo pari a -5% della sessione di ieri – scatenato anche dal balzo dei nuovi casi Covid nella Cina continentale, al record dall’inizio della pandemia – la borsa di Hong Kong oggi ha fatto il bis delle vendite, crollando nei minimi intraday fino a oltre -6% circa, per poi ridurre le perdite e chiudere con un tonfo del 5,72% a 18.415,08 punti, al valore di chiusura più basso dal febbraio del 2016, stando ai dati di Refinitiv Eikon.
Protagonista ancora il bagno di sangue sull’hi-tech, con l’indice settoriale Hang Seng Tech che, all’inizio della giornata di contrattazioni, è precipitato di oltre il 7%, per poi agguantare il territorio positivo e cancellare infine i guadagni, chiudendo con un crollo dell’8,1%, a 3.472,42 punti.
Zavorrati dalle vendite i titoli minacciati dal delisting da Wall Street, scambiati sia a New York che sulla borsa di Hong Kong: Alibaba è precipitata dell’11,93%, JD.com ha perso il 10,06%, NetEase il 7,68%.
Il produttore cinese di auto elettriche NIO, anch’esso quotato sia a Hong Kong che a Wall Street, è scivolato sull’Hang Seng del 12,81%.
Tutte le azioni ieri erano affondate anche a New York, tramortite dal timore rinnovato di un delisting, minaccia sbandierata con maggiore insistenza, la scorsa settimana, dalla Sec, l’organo che vigila sulla borsa Usa.
Non che il sell off fosse una novità visto che, da quando le autorità di vigilanza sui mercati, negli Stati Uniti ma anche in Cina, hanno iniziato a mettere nel mirino le Big Tech made in China, gli smobilizzi che si sono accaniti contro le 10 società cinesi più grandi quotate negli Usa hanno affossato la capitalizzazione complessiva di oltre 1,1 trilione di dollari, con perdite monstre: perdite più che doppie rispetto al valore di mercato totale attuale delle società stesse, pari a 520 miliardi di dollari.
La scorsa settimana la Securities and Exchange Commission ha identificato cinque ADR di società cinesi che non sono riuscite a soddisfare le richieste contemplate dalla legge Holding Foreign Companies Accountable Act (HFCAA).
La legge conferisce alla Sec il potere di procedere al delisting di quelle società che si rifiutino di mostrare i documenti di audit per tre anni consecutivi.
I nomi delle cinque società cinesi – che fanno parte di una black list in cui sarebbero presenti ben 270 aziende cinesi quotate a Wall Street – sono i seguenti: BeiGene, Zai Lab, ACM Research, Yum China, HutchMed.
Un articolo di Forbes ha fatto il punto della situazione, presentando il bilancio delle vittime dei sell che si sono abbattuti ieri a Wall Street sulle ADR cinesi:
- Il titolo del colosso dell’e-commerce Alibaba, la società cinese più grande quotata alla borsa Usa, è precipitato del 10% sul New York Stock Exchange, al valore minimo in quasi sei anni, portando così le perdite accumulate a $613 miliardi dal record testato nell’ottobre del 2020.
- Stramazzati dai sell anche i retailer online JD.com and Pinduoduo, collassati rispettivamente dell’11% e del 21%, dopo cali che hanno ridotto la capitalizzazione di mercato di quai $289 miliardi dai record di sempre dello scorso febbraio.
- Il Nasdaq Golden Dragon China Index – indice che monitora il trend dei titoli delle società cinesi quotate a Wall Street – è crollato del 12% nella sessione di ieri, a un valore inferiore del 75% rispetto al record storico testato nel febbraio del 2021 e al valore più basso in quasi nove anni.
Secondo Ed Moya, analista di Oanda la fuga dall’azionario cinese si spiega anche con i rapporti tra la Cina di Xi Jinping e la Russia di Vladimir Putin, che stanno “complicando ulteriormente l’appetito degli investitori”.
Di certo non ha fatto bene all’azionario made in China la diffusione di indiscrezioni, nel week end, secondo cui Mosca avrebbe chiesto a Pechino aiuti militari nella guerra contro l’Ucraina.
Se Pechino decidesse di affiancare Mosca, avverte Moya, l’Occidente potrebbe anche decidere di coordinarsi in una mossa contro la Cina simile a quelle sanzioni che hanno colpito il mese scorso la Russia.
Non è stata d’aiuto alle borse cinesi neanche la notizia del forte rialzo dei nuovi casi di Covid-19 in Cina, che ha costretto città della Cina continentale come Shenzhen e Jilin al lockdown, per la prima volta dai tempi di Wuhan. Il balzo delle nuove infezioni giornaliere al massimo dall’inizio della pandemia è stato confermato oggi:
i nuovi casi sono volati a oltre 5.000 unità, massimo storico dall’inizio della pandemia. Ciliegina sulla torta, oggi la PBOC – People’s Bank of China, banca centrale della Cina – si è astenuta dal tagliare i tassi, contrariamente alle stime del consensus, creando così tensioni anche sui titoli di stato cinesi.
Nel caso specifico di Tencent, infine, le vendite sono scattate dopo le indiscrezioni del Wall Street Journal, secondo cui il colosso cinese sarebbe prossimo a incassare una multa record per aver violato le norme sul riciclaggio del denaro sporco.
Il quotidiano finanziario americano ha sottolineato in particolare che l’App WeChat Pay di Tencent avrebbe acconsentito al trasferimento di fondi per scopi illeciti come il gioco d’azzardo. Tencent sarebbe finita nel mirino delle autorità anche per non aver rivelato l’identità dei soggetti coinvolti nella transazione e l’origine dei fondi.