Bce, inflazione costringe Lagarde a svolta hawkish. Vendita sui BTP, spread e tassi si infiammano
Con un’inflazione nell’area euro che, con un balzo del 5,1% a gennaio ha spiazzato lo stesso consensus, la Bce di Christine Lagarde ha alla fine riconosciuto il pericolo di una fiammata dei prezzi più persistente di quanto anticipato. Il risultato è che, sebbene Lagarde abbia preferito non esporsi troppo, i mercati, in particolare il forex, hanno interpretato le sue dichiarazioni come un segnale di apertura verso la possibilità che i tassi dell’Eurozona vengano davvero alzati nel corso del 2022.
Non che Lagarde lo abbia detto, anzi: la numero uno della Bce ha messo prontamente le mani in avanti alla domanda sui tassi che le è stata rivolta nel corso della conferenza stampa successiva ai vari annunci di politica monetaria arrivati poco prima da Francoforte (un nulla di fatto, come da attese).
L’ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale ha mostrato anche tutta la sua intenzione di blindare gli spread dell’area euro, nel caso in cui dovessero tornare ad ampliarsi troppo.
Nell’affrontare la questione dei debiti sovrani dell’area euro, che tanto sono aumentati con gli stimoli fiscali lanciati dai governi per arginare gli effetti della pandemia Covid-19, Lagarde ha fatto notare che è vero che “i rendimenti (dei titoli di stato) sono aumentati”, è altrettanto vero che “gli spread non sono saliti allo stesso ritmo“. Aggiungendo che, nel caso in cui ci fosse una fiammata dei differenziali, la Bce “avrebbe comunque tutti gli strumenti per intervenire”.
Lagarde apre a rialzo tassi 2022. E lo spread BTP-Bund si impenna
Ma Lagarde paladina degli spread e dei debiti sovrani dell’area euro non ha frenato la fiammata dello spread BTP-Bund che, se prima della conferenza stampa viaggiava attorno ai 141 punti, è arrivato con le sue parole a schizzare fin oltre quota 148, balzando di oltre il 6%, a fronte di tassi sui BTP decennali all’1,6%, record dal maggio del 2020.
Ma dalle sue parole il segnale hawkish è arrivato:
“L’inflazione rimarrà elevata per un periodo di tempo più lungo di quanto atteso”; “non ci troviamo più in un contesto di bassa inflazione”; “l’inflazione si sta avvicinando sempre di più al target”; “l’inflazione di gennaio è stata molto sorprendente”. E il verdetto: “quest’anno, l’inflazione potrebbe essere più alta in modo significativo”.
E’ vero che Lagarde ha cercato di non creare troppe aspettative: “E’ importante – ha detto -prestare attenzione alle condizioni” e, in ogni caso, bisognerà aspettare il mese di marzo, quando saranno disponibili maggiori informazioni sulle condizioni macroeconomiche dell’area.
Insomma, “saremo dipendenti dai dati e dalle valutazioni” e in ogni caso “aumenteremo i tassi solo quando gli acquisti di asset netti che avvengono con il QE saranno terminati”. Non è detto neanche, ha fatto capire, che una modifica alla guidance arrivi davvero a marzo:
“La nostra riunione di marzo e, in modo cruciale, quella di giugno, saranno essenziali per valutare la nostra guidance”.
Ma la cautela di Lagarde non ha convinto il mercato del forex, con l’euro che si è infiammato, balzando fin oltre lo 0,70% sul dollaro Usa, e avvicinandosi a quota $1,14. Così come non ha convinto il mercato del reddito fisso, visto che gli investitori si sono dati subito da fare per vendere Italia, ergo i BTP.
Oggi la Bce ha preservato per l’appunto lo status quo, come da attese:
Il tasso principale dell’Eurozona è rimasto pari a zero, il tasso sui depositi è stato lasciato invariato al -0,50% e il tasso sui prestiti marginali è rimasto inchiodato allo 0,25%.
La Bce ha confermato anche che il ritmo di acquisti di asset che ha effettuato tramite il PEPP, o anche QE pandemico, andrà a concludersi a fine marzo, precisando che, nel primo trimestre del 2022, il Consiglio direttivo della Bce condurrà gli acquisti nell’ambito del PEPP (pandemic emergency purchase programme) a un ritmo inferiore rispetto al trimestre precedente, per poi porre fine al programma alla fine del mese di marzo.
Riguardo alla crescita dell’economia, un avvertimento è stato lanciato da Lagarde sulla debolezza del Pil nel primo trimestre, sulla scia delle misure di contenimento varate contro la variante Omicron del Covid-19.
Ma “la pandemia sta facendo meno danni ai fondamentali dell’economia, anche se è vero che rischi al ribasso sull’outlook della crescita sono ora rappresentati dall’ escalation delle tensioni geopolitiche tra la Russia e l’Occidente riguardo alla questione Ucraina: tra l’altro, “se queste tensioni dovessero concretizzarsi il Pil potrebbe rallentare, con una frenata dei consumi e degli investimenti, e allo stesso tempo la crisi che ha colpito l’Eurozona soprattutto a causa della sua dipendenza dalle materie prime di altri paesi (leggi Russia) si confermerebbe con un effetto rialzista sui prezzi energetici”.
Più volte la presidente della Bce ha citato i costi dell’energia come fattore primario dell’impennata dell’inflazione, parlando anche di pressioni rialziste sui prezzi dei beni alimentari.
In generale, “i rischi sull’outlook dell’economia (dell’area euro) sono ampiamente bilanciati nel medio termine; ci sono rischi al rialzo sulle spese delle famiglie, mentre tra i rischi al ribasso vanno annoverate le tensioni geopolitiche e i costi dell’energia, che rimangono elevati in modo persistente. I rischi sull’inflazione sono al rialzo, in modo particolare nel breve termine”.
Detto questo, quasi ad avallare quanto detto in passato, ovvero che l’inflazione non rappresenta il problema principale (ma ora sì?), “il trend dei salari rimane fermo” e le “strozzature (che stanno colpendo le catene dell’offerta in tutto il mondo) potrebbero iniziare a diminuire, anche se potrebbero persistere per un po’ di tempo”.
Non poteva mancare, nel corso della conferenza stampa, una domanda sull’annuncio della BoE, Bank of England guidata da Andrew Bailey, che oggi ha alzato i tassi per la seconda riunione consecutiva (non accadeva dal 2004):
il costo del denaro UK è stato aumentato di 25 punti base, dallo 0,25% allo 0,50%, e non è mancato chi ha chiesto una stretta monetaria ancora più aggressiva, fino allo 0,75%, a fronte di un outlook che ha fissato il picco dell’inflazione del Regno Unito ad aprile, fino al 7,5%.
In risposta alla domanda, Lagarde ha ricordato che, “storicamente, l’inflazione del Regno Unito è stata sempre più elevata di quella dell’area euro”. E, seppur non menzionandola, ha fatto riferimento alle conseguenze della Brexit che, portando tanti lavoratori a lasciare il Regno Unito, si sono tradotte a suo avviso in una carenza della forza lavoro, alimentando in questo modo la pressione rialzista sui salari.
L’area euro, ha ripetuto Lagarde, non può essere paragonata neanche agli Stati Uniti: ma il punto è che anche in Eurozona i prezzi corrono, con la differenza che sulla crescita del Pil dell’area incombono molte più incognite di quelle che pendono sulla testa degli States. E la speranza ora è che l’ultra dovish Lagarde non si sia svegliata troppo tardi.