Atlantia: trattative con governo e CDP su Autostrade si arenano. Holding vuole spin off o vendita asset
Che le trattative tra Atlantia, il governo Conte e CDP su Autostrade si fossero arenate, era diventato piuttosto palese. Due giorni fa era stata la stessa ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli ad annunciare:
“Noi mercoledì (oggi) definiremo gli aspetti tecnici”. Ma “non credo che la firma ci sarà mercoledì”. Motivo: in un’intervista rilasciata ad Agorà la ministra aveva parlato di aspetti tecnici complessi e di difficoltà giuridica.
Ieri mattina, stando a quanto riporta l’agenzia di stampa AGI, De Micheli si era mostrata in ogni caso fiduciosa nella trattativa fra Cassa depositi e prestiti e Atlantia sul futuro di Autostrade per l’Italia, affermando che “va avanti molto rapidamente e secondo parametri di mercato” .
La titolare del Mit aveva precisato però anche che il Mit non si occupa di questa partita, che riguarda “l’ingresso di Cdp nella governance di Autostrade e l’uscita di Atlantia che avverrà nei prossimi mesi”.
E’ stata poi a fine giornata la nota di Atlantia a confermare le difficoltà che le parti coinvolte nella trattative continuano a incontrare nella definizione di un accordo. Difficoltà che, in più di un’occasione, erano state rilevate dagli stessi azionisti di Atlantia, in particolare dal fondo inglese TCI, in merito al valore effettivo di ASPI. Non un dettaglio di poco conto, visto che lo smobilizzo delle quote degli azionisti di Atlantia in Autostrade, al fine di consentire l’ingresso di CDP, rischierebbe una svalutazione in caso di un valore di Autostrade reputato non congruo.
In una intervista al Messaggero il fondatore e managing director del fondo TCI aveva sottolineato che le azioni intraprese dal governo italiano contro ASPI erano o incostituzionali e contrarie alle norme UE, minacciando la presentazione di una protesta formale alla Commissione Europea UE sulla vicenda.
Secondo TCI, ASPI avrebbe un valore di mercato di 11-12 miliardi, mentre CDP e il governo la valuterebbero appena 8 miliardi.
Christopher Hohn, uno dei più noti e influenti gestori anglosassoni che attraverso il fondo inglese TCI gestisce circa 35 miliardi di dollari di investimenti, aveva minacciato anche di non investire più in Italia, a meno che il governo italiano non avesse mostrato trasparenza nella fissazione del prezzo delle quote di Autostrade nelle mani degli azionisti di Atlantia (tra cui, per l’appunto, i fondi esteri).
LA NOTA DI ATLANTIA: LE DUE OPZIONI PROPOSTE TRA CUI VENDITA QUOTA 88% IN ASPI
Evidentemente, da quanto si apprende dalla nota emanata dal cda di Atlantia ieri, in occasione della presentazione dei risultati di bilancio, i nodi non sono stati affatto sciolti. Tutt’altro:
Atlantia, si legge nel comunicato, rileva “concrete difficoltà” nel proseguimento delle trattative con Cdp per il suo ingresso in Aspi.
“Allo stato – si legge nella nota – si rilevano concrete difficoltà nel proseguimento positivo delle trattative, non solo per concordare la definizione di meccanismi volti alla determinazione di un valore di mercato di Autostrade per l’Italia, ma anche per effetto di richieste avanzate da parte di Cdp (Cassa depositi e prestiti) su ulteriori impegni al di fuori di quanto rappresentato nella lettera del 14 luglio 2020″.
Di conseguenza il cda di Atlantia “ha ritenuto di dover individuare anche soluzioni alternative idonee comunque a giungere ad una separazione tra la Società ed Autostrade per l’Italia, che diano certezza al mercato, sia in termini di tempi che di trasparenza, nonché della irrinunciabile tutela dei diritti di tutti gli investitori e stakeholders coinvolti”.
Due le soluzioni presentate: il Cda “ha deliberato la possibilità di procedere: alla vendita tramite un processo competitivo internazionale – gestito da advisor indipendenti – dell’intera quota dell’88% detenuta in Autostrade per l’Italia, al quale potrà partecipare Cdp congiuntamente ad altri Investitori Istituzionali di suo gradimento, come già ipotizzato nella lettera”, oppure “alla scissione parziale e proporzionale di una quota fino all’88% di Autostrade per l’Italia mediante creazione di un veicolo beneficiario da quotare in borsa, creando quindi una public company contendibile”.
Atlantia si è in ogni caso mostrata decisa ad andare avanti nella definizione di un accordo, annunciando un Cda straordinario il prossimo 3 settembre per “ulteriori ipotesi di separazione tra Atlantia e Autostrade per l’Italia nell’irrinunciabile esigenza di tutela di tutti gli stakeholders”.
Il dossier viene approfondito dal Sole 24 Ore che, in un articolo, fa notare che “la nuova formula, sebbene preservi l’obiettivo finale, ossia l’uscita dei Benetton dall’asset, muta i presupposti dell’operazione: senza aumento di capitale ma con la vendita tout court della controllata non si dota l’azienda di quelle risorse che avrebbero rafforzato il profilo della società e permesso di procedere senza intoppi con l’ambizioso piano di investimenti da 14,5 miliardi al 2038. In più un simile schema rende altamente probabile il passaggio della compagnia, che gestisce 3 mila km di rete nel paese, in mani straniere. Da segnalare che la soluzione prospettata dal governo Conte prevede l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Aspi grazie ad un aumento di capitale che avrebbe portato Atlantia dall’attuale 88% ad un 12%.
Ieri Atlantia ha alzato il velo anche sui conti:
I risultati di bilancio di Atlantia hanno messo in evidenza una perdita di pertinenza del gruppo pari a 772 milioni a fronte di un risultato in utile per 594 milioni nello stesso periodo del 2019. E’ quanto ha reso noto ieri la holding a cui fa capo Autostrade.
In flessione diverse poste di bilancio: giù i ricavi operativi, scesi di 1,89 miliardi, -34%, a 3,714 miliardi. Male anche il margine operativo lordo, scivolato del 63% a 1,3 miliardi, e gli investimenti operativi, in ribasso -22% a 633 milioni.
Il traffico sulla rete autostradale è sceso inoltre del 37,7% in Italia, del 39,1% in Spagna, del 33,3% in Francia, del 32,5% in Cile e del 14,1% in Brasile a causa dela pandemia da coronavirus COVID-19.
A tal proposito, la società prevede che il virus avrà un impatto nagativo sui ricavi pari a 3 miliardi per l’intero esercizio.
“Considerate le performance di traffico sino ad ora consuntivate, assumendo una graduale ripresa a partire dal secondo semestre 2020 nei vari Paesi in cui il gruppo opera, una preliminare analisi di sensitività, porterebbe a stimare per l’esercizio 2020 una riduzione media del traffico autostradale del Gruppo di circa il 25% e aeroportuale di circa il 65%, con un potenziale impatto negativo sui ricavi nell’ordine di 3 miliardi di euro, rispetto ai dati del 2019, e una potenziale riduzione dei flussi operativi (FFO) al netto degli investimenti pari a 2 miliardi di euro, sempre rispetto ai dati del 2019”.
Sui risultati hanno pesato anche ulteriori accantonamenti per circa 700 milioni di euro in relazione al completo accantonamento degli impegni assunti da Autostrade per l’Italia, aumentati a 3.400 milioni, nell’ultima proposta transattiva formulata al Governo sul contenzioso per il crollo del Ponte Morandi. L’indebitamento finanziario netto al 30 giugno 2020 è stato pari a 39.166 milioni di euro, in aumento di 2.444 milioni di euro rispetto al 31 dicembre 2019 essenzialmente per gli effetti connessi all’acquisizione e al consolidamento di RCO (complessivamente 3.126 milioni di euro). Il Cash flow Operativo è risultato pari a 1.112 milioni di euro, in diminuzione di 1.405 milioni di euro o del 56% (-49% su base omogenea).