Wall Street giù con annuncio Boris Johnson su vittima Omicron in UK. Cadono titoli reopening
Wall Street fa dietrofront, dopo che lo S&P 500 e il Nasdaq hanno concluso la migliore settimana di contrattazioni dal febbraio di quest’anno, con l’indice benchmark che ha testato venerdì scorso un nuovo record. Alle 16 ora italiana, il Dow Jones perde lo 0,77% a 35.694 punti; lo S&P 500 arretra dello 0,47% a 4.690, mentre il Nasdaq cede lo 0,24% a 15.590.
I rialzi iniziali dei futures sono stati affossati dal rinfocolarsi dei timori per Omicron, dopo che il premier britannico Boris Johnson ha annunciato che la variante del Covid-19 ha fatto almeno una vittima nel Regno Unito.
Cadono infatti soprattutto i titoli legati al reopening, come
quelli delle compagnie aeree American Airlines e Delta Air Lines, e di società che gestiscono viaggi da crociera, come Carnival.
Tra i titoli, massima attenzione a Apple, che si avvia a diventare la prima società con una capitalizzazione di mercato di $3 trilioni, il cui titolo sale in premercato dopo un giudizio positivo di JP Morgan.
Bene anche il titolo Moderna, dopo che Anthony Fauci, massimo consulente della Casa Bianca sulla pandemia Covid-19, ha dichiarato che le dosi booster (o anche terze dosi) contro il coronavirus, rappresentano “un ottimo trattamento”.
Allo stesso tempo Fauci ha sottolineato che la definizione di “vaccinazione completa” comporta l’aver ricevuto due dosi dei vaccini Pfizer-BioNTech o di Moderna oppure una dose del vaccino Johnson & Johnson.
L’indice Dow Jones ha terminato la scorsa settimana con un guadagno settimanale del 4%, interrompendo la scia negativa di quattro settimane e riportando la migliore settimana dal mese di marzo.
Lo S&P 500 ha incassato – sempre su base settimanale – un guadagno del 3,8% e il Nasdaq Composite è avanzato del 3,6%: entrambi gli indici della borsa Usa hanno riportato il rialzo settimanale più sostenuto dall’inizio di febbraio, lasciandosi alle spalle i timori per la variante Omicron.
A rincuorare gli investitori è stata la pubblicazione, lo scorso venerdì, del dato sull’inflazione Usa relativo all’indice dei prezzi al consumo, il cui balzo è stato pressocché in linea con le attese ed evidentemente già prezzato dai mercati.
Il dato è salito a novembre dello +0,8% su base mensile, scattando al rialzo del 6,8% su base annua, raggiungendo così il record dal giugno del 1982.
Gli economisti intervistati da Dow Jones avevano stimato un rialzo del 6,7%, anche in questo caso al record dal 1982, rispetto al 6,2% del mese di ottobre.
L’inflazione Usa core misurata dall’indice dei prezzi al consumo esclusi i prezzi dei beni energetici e dei beni alimentari, è salita dello +0,5% su base mensile, scattando al rialzo dal 4,6% al 4,9% su base annua, in linea con le attese.
Sebbene in forte crescita, i numeri sull’inflazione non hanno riservato grandi sorprese, fattore che ha rasserenato il sentiment sui mercati.
C’è da dire che la Federal Reserve ha già indicato di essere pronta a intervenire, rafforzando ulteriormente il tapering appena lanciato, che per ora prevede un taglio degli acquisti di asset al mese di $30 miliardi, rispetto al totale che ammontava ogni mese a $120 miliardi.
Particolarmente da falco sono state le dichiarazioni, degli ultimi giorni, del presidente della Fed Jerome Powell, che ha affermato che sarebbe forse il caso di smettere di affiancare l’aggettivo “transitorio” alla parola “inflazione”.
La riunione del Fomc – braccio di politica monetaria della Fed – inizierà domani 14 dicembre, per concludersi dopodomani 15 dicembre con l’annuncio sui tassi: secondo gli economisti, Powell & Co annunceranno una accelerazione del tapering, che dovrebbe anticipare la fine del programma di Quantitative easing prima della scadenza fissata al giugno del 2022.
Il giorno successivo, giovedì 16 dicembre, si riunirà la Bce di Christine Lagarde.
Sempre giovedì 16 dicembre saranno annunciate le decisioni di politica monetaria della Bank of England. In settimana, i riflettori saranno puntati anche sulla Bank of Japan.
Ma non finirà qui in quanto saranno una ventina in tutto le banche centrali del mondo che snoccioleranno le proprie decisioni, nell’arco dei prossimi giorni: tra queste, le istituzioni di Norvegia, Messico, Russia, tutte alle prese con un contesto di una inflazione più alta, di prezzi delle commodities più alti, del riemergere della paura per la pandemia Covid-19, a causa della diffusione della variante Omicron.