Notizie Notizie Mondo Valute, Gli effetti del protezionismo su dollaro, yuan e metallo giallo

Valute, Gli effetti del protezionismo su dollaro, yuan e metallo giallo

3 Aprile 2018 16:08

 

 

 

 

Tutto sembrava andare per il verso giusto: la crescita economica era ben avviata, il mercato azionario americano aveva toccato nuovi massimi, e anche il petrolio era rimbalzato dai livelli minimi di questi ultimi anni. Poi è arrivato il protezionismo americano che ha scompaginato le carte. Sarah Salamoun, Forex and Precious Metals Advisor di Indosuez Wealth Management ha pubblicato un report nel quale si analizza quello che definisce: “il buono, il brutto e il cattivo” del protezionismo e le conseguenze in termini valutari.

Il dollaro canadese

Come spiega Salamoun, anche se esentato dall’introduzione delle tariffe su alluminio e acciaio, il dollaro canadese è la peggiore valuta dei paesi G-10 in termini di performance da inizio anno a causa dei timori relativi alla rinegoziazione degli accordi NAFTA, nonostante i prezzi del petrolio si stiano mantenendo ben al di sopra del prezzo di break even del Canada. Considerato che un buon 20% del Pil canadese proviene dalle esportazioni verso gli Stati Uniti, non sorprende che il sentimento ribassista sul Canada abbia spinto al rialzo il cambio USD/CAD a 1.3130 (il massimo degli ultimi dieci mesi).

Comunque, secondo Salamoun, la strada non è tutta in discesa. Il Canada ha infatti esteso i suoi accordi commerciali con l’Unione europea sotto l’accordo EU-Canada Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA 2017).

Dato che la Banca centrale canadese probabilmente procederà a due rialzi dei tassi nel 2018, contando su un contesto macroeconomico stabile, il dollaro canadese potrebbe risollevarsi presto poiché i timori relativi agli scambi commerciali sono già stati incorporati nel prezzo”, dice lo strategist. Che aggiunge: “Nel migliore dei casi, la tempesta del protezionismo statunitense potrebbe attenuarsi e scomparire nel tempo”.

Il dollaro americano

Un altro tema dell’attuale protezionismo sono le nuove tariffe dell’acciaio e dell’alluminio, che dovrebbe aiutare le società che operano nel settore nel breve termine, ma che – nel medio termine – potrebbero impattare negativamente sui livelli del dollaro americano. Cina, Unione europea e Giappone rappresentano i due terzi dell’intero disavanzo commerciale degli Stati Uniti e le misure di ritorsione non sembrano poi così lontane. “Sebbene non sia per nulla imminente uno scenario in cui la storia si ripete (si pensi alla legge Smoot-Hawley Act del 1930 che determinò una riduzione degli scambi commerciali a livello mondiale pari al 60%), una ricaduta negativa dall’innalzamento di barriere commerciali potrebbe tradursi in un sentimento ribassista sul dollaro americano e scoraggiare gli investitori internazionali a non finanziare il già gonfiato debito americano”, dice Salamoun.
Come spiega lo strategist, con la Cina che detiene la quota maggiore del debito americano (pari a 1,25 trilioni di dollari),  Pechino potrebbero attuare una politica di ritorsione consentendo allo yuan di deprezzarsi ulteriormente nei confronti del dollaro, aumentando ulteriormente le tensioni commerciali (si ricordi l’accusa fatta da Trump alla Cina di manipolare la propria valuta nel 2017).

Siamo tutti in attesa di capire che cosa emergerà dalle investigazioni condotte dalla Sezione 301 americana nei prossimi mesi circa le politiche e le pratiche cinesi e in che modo queste si ripercuotono sul commercio statunitense – dice Salamoun – In ogni caso è giusto aspettarsi qualche ritorsione dalla Cina prima o poi”.

L’oro

In definitiva, secondo Salamoun, lo scenario più catastrofico, ovvero quello di una guerra commerciale vera e propria, sembra altamente improbabile, anche se ci sono alcuni punti da considerare. Per primo, una disaffezione verso il rischio potrebbe condurre gli investitori verso attività finanziarie più sicure: ovvero yen, franco svizzero e oro.

Inoltre, “La guerra commerciale potrebbe tradursi anche in una guerra valutaria, con le Banche Centrali che ingaggiano “una corsa verso il basso” al fine di dare impulso alle esportazioni attraverso la svalutazione monetaria”. Le società con catene di approvigionamento complesse potrebbero a quel punto assistere a una riduzione dei margini e essere soggette a una maggiore volatilità e prese di profitto sui mercati azionari, situazione che nel lungo periodo potrebbe favorire proprio il dollaro americano.

In questo caso, il valzer verso le attività finanziarie prive di rischio potrebbe tornare di moda, con l’oro a trionfare su tutte le altre alternative”, conclude Salamoun.