Alert a orsi che shortano dollaro. Tweet Trump non bastano, state dimenticando Fed
La scommessa ribassista degli orsi sul dollaro potrebbe rivelarsi sbagliata. E’ quanto scrive su Bloomberg Vassilis Karamanlis, analista macro e del forex, nell’articolo Dollar Bears Beware, Trump Tweets May Not Be Enough: Macro View ovvero “Ribassisti (orsi) sul dollaro state attenti, i tweet di Trump potrebbero non essere sufficienti”. Un articolo-avvertimento, che fa riferimento alla strategia di shortare la valuta, che diversi trader hanno deciso di adottare.
I risultati di questa strategia, sicuramente, sono sotto gli occhi di tutti Basta guardare al trend del “Bloomberg Dollar Spot Index, che oscilla vicino al minimo in tre anni, sulla scia delle incertezze sull’amministrazione Trump che deprimono la fiducia degli investitori“.
Sono state proprio le dichiarazioni del presidente Usa a “frustrare i long sul dollaro”, si sia trattato di frasi a favore di una valuta più debole, di annunci di rimpasti alla Casa Bianca, o di alert sul protezionismo e timori associati sull’arrivo di una guerra commerciale.
“Il risultato – spiega l’analista – è che ogni rimbalzo del dollaro, quest’anno, ha avuto breve durata. Ciò ha portato alla costituzione massiccia di posizioni short sul dollaro“.
“Come mostrano i dati del CFTC, gli hedge fund e i grandi speculatori non sono stati così ribassisti sul biglietto verde da più di cinque anni”.
Tuttavia, in un momento in cui “c’è un minore spazio per l’esposizione short, i ribassisti sul dollaro hanno bisogno di qualcosa che vada al di là delle turbolenze di breve termine che vengono provocate da Trump. E chi spera che un assist arriverà dalla politica monetaria sarà probabilmente deluso in modo cocente”.
La Fed non sta infatti deponendo le armi, ma le sta affilando.
“Non solo la Fed sta confermando la sua view bullish, ma sta guardando alla possibilità di alzare i tassi in modo più aggressivo, rispetto a quanto il mercato sta anticipando. Con quasi la metà dei membri di politica monetaria della Fed che prevedono almeno quattro rialzi dei tassi di interesse nel 2018, a prevalere sono i rischi al rialzo”.
Vassilis Karamanlis spiega tra l’altro che “questi rischi potrebbero diventare più pronunciati nel caso in cui il Senato americano confermasse Richard Clarida vicepresidente (della Fed). Clarida potrebbe infatti alimentare le speculazioni su una eventuale decisione del Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed – di includere il target sui prezzi tra le sue decisioni di politica monetaria”. Da segnalare a tal proposito che il price level targeting è quello strumento che stabilisce un target per un indice dei prezzi come, per esempio, l’indice dei prezzi al consumo.
“Anche il presidente della Fed di New York John Williams è a favore di questa svolta” e il punto è che, come si legge in un’analisi di Pimco che risale al 2014, una tale strategia, in teoria, risulterebbe in tassi più alti o in bond con una duration più lunga”.
In ogni caso, anche Trump prendesse le distanze dalla retorica del dollaro debole e il mercato si allineasse al dot plot della Fed, il dollaro potrebbe far fatica a guadagnare quel 6% di cui ha bisogno per tornare a toccare i massimi di ottobre. Questo non significa che assisteremo però a un crollo su nuovi minimi dell’anno”.
In sostanza, “c’è troppa attenzione verso Trump e verso la crescita nel resto del mondo, e non abbastanza verso la Fed. E la direzione del dollaro sarà determinata più dai dati Usa, che non dalle interpretazioni, da parte degli investitori, dei tweet (di Trump) che arrivano di prima mattina”.