Pil Eurozona, Crescita meno vigorosa nel primo trimestre. Inflazione ancora lontana dall’obiettivo della Bce
Le stime preliminari sul Pil dell’eurozona indicano una crescita nel primo trimestre del 2018 dello 0,4% (+2,5% rispetto all’anno precedente), con una brusca decelerazione rispetto al ritmo di fine 2017 (+0,7%).
I cosiddetti indicatori anticipatori (leading indicators), ovvero quegli indici che cercano di anticipare gli andamenti economici, da mesi avevano messo in guardia su un inizio d’anno meno vigoroso. E questa, come spiega Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy, “è la ragione principale per la quale avevamo neutralizzato il nostro sovrappeso sull’azionario dell’eurozona”. “Incorporando i dati del primo trimestre nei nostri modelli – aggiunge Ramenghi – la crescita attesa nell’eurozona per il 2018 scende dal 2,5% al 2,2 per cento”.
Fattori di revisione
L’esordio sottotono del 2018, secondo lo strategist, è dovuto principalmente a fattori transitori come la forza dell’euro, il cui impatto era atteso. La revisione delle stime poi è dovuta soprattutto alla Germania, per la quale è prevista una crescita nel 2018 del 2,2% (la stima precedente era del 2,5%) per via dell’euro forte, e alla Francia, nei confronti della quale Ubs ha ridotto le aspettative all’1,9% dal 2,3% precedente a causa dell’ondata di scioperi dei trasporti pubblici che continuerà nei prossimi mesi.
“Si tratta di fattori che, a nostro avviso, non sono destinati a trascinarsi nella seconda parte dell’anno, quando la ripresa della domanda interna, che si sta allargando a macchia d’olio su tutto il continente, dovrebbe rivelarsi la componente prevalente”, spiega Ramenghi.
Prospettive tricolore
Per quanto riguarda l’Italia, la crescita del primo trimestre (pari allo 0,3%) è stata di poco inferiore alle stime e Ubs ha lasciato invariata la previsione di crescita dell’1,4% per il 2018.
“Oltre all’eccellenza dell’export italiano, la crescita dipende anche dalla ripresa dei consumi e degli investimenti delle aziende che, seppur in fase di recupero, rimangono ampiamente al di sotto dei livelli pre-crisi – spiega Ramenghi – La disponibilità di finanziamenti a tassi contenuti e gli incentivi fiscali, oltre alle condizioni economiche favorevoli, offrono una buona opportunità in questo senso”.
“Oltre all’eccellenza dell’export italiano, la crescita dipende anche dalla ripresa dei consumi e degli investimenti delle aziende che, seppur in fase di recupero, rimangono ampiamente al di sotto dei livelli pre-crisi – spiega Ramenghi – La disponibilità di finanziamenti a tassi contenuti e gli incentivi fiscali, oltre alle condizioni economiche favorevoli, offrono una buona opportunità in questo senso”.
La Bce verso un’estensione?
E infatti, al centro dell’attenzione degli investitori, ancora una volta, è la politica monetaria della BCE e, di conseguenza, l’inflazione. Ad oggi, l’inflazione rimane all’1,3%, mentre il dato «core» (cioè depurato da energia e alimentari) si attesta mestamente sull’1 per cento. Anche ipotizzando un aumento dell’inflazione di qualche punto nei prossimi mesi, si tratterebbe di valori molto distanti dall’obiettivo della Banca centrale, poco al di sotto del 2 per cento.
“In questo contesto, è possibile che la BCE riveda la propria decisione di terminare il programma di acquisto titoli a settembre, propendendo per un’uscita graduale verso la fine dell’anno – è l’opinione di Ramenghi – Il 14 giugno la BCE pubblicherà le proprie stime e il 26 luglio terrà una riunione nella quale potrebbe svelare le proprie intenzioni”.
Usa apripista
In ogni caso, per comprendere la direzione di marcia occorre rivolgere lo sguardo agli Stati Uniti. Il rendimento del Treasury decennale è balzato in poco più di un anno dall’1,4% al 3%, perché la Federal Reserve ha avviato il processo di normalizzazione delle politiche monetarie.
“Nel giro di qualche mese, anche l’eurozona imboccherà un simile percorso – dice Ramenghi. Che conclude: “Per gli investitori questo deve indurre alla massima cautela sul mercato obbligazionario, evitando le scadenze più lunghe e le obbligazioni che hanno rendimenti troppo compressi. Per le aziende, invece, le attuali favorevoli condizioni di finanziamento potrebbero non durare a lungo”.