Euro, Draghi scatena fuga tori. Ma dollaro rischia timori protezionismo con dazi Trump su Cina
Il bazooka monetario della Bce sta per finire, ma l’euro scende, bucando al ribasso le soglie di $1,18, $1,17 e anche $1,16. La moneta unica ha continuato a crollare nelle ore successive alle dichiarazioni che il numero uno della Bce, Mario Draghi, ha rilasciato nel corso della conferenza stampa. Dichiarazioni che sono state dovish, ovvero da colomba, anche nell’annunciare la fine del programma di Quantitative easing.
I tassi di interesse dell’Eurozona, d’altronde, rimarranno ai livelli attuali almeno fino all’estate del 2019, stando a quanto si legge nel comunicato della Bce; la politica dei reinvestimenti – altro strumento che assicura liquidità e mette in sicurezza il mercato dei bond sovrani dell’area euro -andrà avanti. Soprattutto, Mario Draghi si è presentato di nuovo possibilista.
Il QE finirà in teoria a dicembre, ma la sua morte definitiva dovrà essere avallata dai dati relativi all’inflazione. Se questi non saranno convincenti e/o sufficienti, la Bce di Draghi sarà comunque pronta a intervenire.
Si spiega così il trend dell’euro che, più che scontare la fine del QE, ha scontato la prosecuzione di una politica monetaria ancora accomodante: dopo essere schizzata fino al massimo intraday di $1,1853, poco dopo l’annuncio della Bce sulla fine a dicembre del Quantitative easing, la moneta unica ha imboccato con decisione il trend ribassista, precipitando fino a $1,1555, al valore più basso dallo scorso 30 maggio.
La moneta unica oggi recupera terreno ma, su base settimanale, il dado è tratto: dopo aver riportato ieri il tonfo peggiore dal referendum sulla Brexit del 2016, pari a -1,9% circa, il trend su base settimanale è di una perdita dell’1,72%, la più alta dal novembre del 2016.
L’euro è in recupero oggi anche nei confronti dello yen, dopo essere capitolato dell’1,7% nelle contrattazioni overnight. Pur se debole, in attesa dell’annuncio di Donald Trump su nuovi dazi doganali contro la Cina, il dollaro rimane invece ben solido. Il Dollar Index viaggia al record delle ultime due settimane, attorno a 94,995, dopo aver beneficiato nella seduta di ieri di un rally superiore a +1%.
D’altronde ieri non è stato solo il Bce Day. Prima della raffica di novità provenienti da Francoforte, la Federal Reserve aveva alzato infatti i tassi, portandoli al nuovo range compreso tra l’1,75% e il 2%. Non solo: Jerome Powell & Co. avevano reso nota l’intenzione di portare a un totale di quattro le strette monetarie del 2018, e di alzare i tassi sui fed funds di altre tre volte nel 2019.
Detto questo, le veiw degli analisti sull’euro non sono necessariamente ribassiste. In particolare Kyosuke Suzuki, responsabile del mercato monetario e del forex di Société Générale a Tokyo ritiene che, a fronte di un supporto EUR-USD attorno a $1,15, il cambio potrebbe recuperare fino a $1,1650 e poi attraversare una fase di consolidamento.
La debolezza del dollaro si spiega oggi con l’annuncio di Trump sui dazi contro la Cina, il cui valore è stato stabilito a $50 miliardi. Intervistata da Cnbc Shusuke Yamada, strategist dell’azionario e del forex presso Bank of America Merrill Lynch a Tokyo, afferma che l’imposizione dei dazi è un “risk event a cui i mercati si stanno preparando, visto che è possibile che gli Usa si concentreranno sempre di più sulle questioni relative al commercio, in vista delle elezioni in Messico previste per il prossimo 1° luglio”.
Anche se poi la stessa Yamada fa notare che “per le valute, il fattore chiave è che la Fed ha un atteggiamento da falco e la Bce no, e che le differenze di politica monetaria (tra le due banche centrali) continueranno a confermarsi il principale market mover”.