Azionario europeo sempre più simile a mercati emergenti. Da Goldman Sachs e Citi alert su borsa Usa
Azionario europeo sempre più simile ai mercati emergenti? Il parallelismo emerge da un articolo di Bloomberg, che fa notare che la correlazione a 30 giorni tra l’indice MSCI Europe e l’MSCI Emerging Markets è salita allo 0,7, al record in quasi sette mesi, e rispetto allo 0,1 appena di giugno.
Viene fatto notare come il percorso di normalizzazione dei tassi della Federal Reserve, sempre più incentrato sulle strette monetarie, sia di per sé una zavorra per l’appetito per gli asset più rischiosi. A ciò si aggiunge la domanda che diversi investitori si stanno ponendo: l’esposizione che l’Europa ha verso i mercati emergenti è forse il suo tallone d’Achille più grande?
Così a Bloomberg Peter Garnry, responsabile della strategia sull’azionario presso Saxo Bank a Hellerup, in Danimarca.
“L’economia europea è molto più aperta rispetto a quella Usa, con le esportazioni che rappresentano una fetta più rilevante del Pil. Ciò significa che l’Europa presenta una sensibilità notevole alla crescita dei mercati emergenti e a quella globale in generale”.
Questa realtà è ben visibile negli titoli che compongono i diversi listini europei:
“Gli indici azionari europei presentano una quota più ampia di azioni che hanno un’esposizione verso i settori industriale e manifatturiero, che sono direttamente legati alla crescita dei mercati emergenti”.
E mentre l’Europa sconta il fattore mercati emergenti, l’outlook sull’azionario Usa inizia a mostrare più di una crepa, tanto che avvertimenti in tal senso vengono lanciati da Goldman Sachs e Citi.
Citi, in particolare, stando a quanto riporta Bloomberg, spiega come il modello panico-euforia – che copre a 360° gli aspetti della finanza, a partire dal trading sulle opzioni fino all’ottimismo delle newsletter – mostri come il sentiment sia salito a livelli estremi, per la prima volta dallo scorso gennaio. Non si tratta di una buona notizia, contrariamente a quanto potrebbe apparire: questi record hanno infatti preceduto fasi di cali dell’azionario nei 12 mesi successivi, nel 70% dei casi dal 1987.
Ribassista su Wall Street anche Morgan Stanley, che ha tagliato la sua raccomandazione sull’azionario Usa, parlando di picco di crescita dei profitti e di alcuni eventi rischiosi imminenti, che includono la riunione della Federal Reserve e le elezioni di metà mandato del Congresso Usa.
Gli analisti di Deustche Bank stimano inoltre un calo degli indici Usa tra il 3% e il 5% a settembre, anche in base alla prospettiva di più dati macroeconomici inferiori alle attese.
Ancora più forte l’alert di Goldman Sachs, che avverte che, ai livelli correnti, “l’indicatore sul rischio di mercato Bull/Bear (Toro/Orso) è ai massimi in 10 anni”. Il livello, viene fatto notare, storicamente precede l’avvento del mercato orso. Ciò significa che, nei prossimi 3-5 anni, due sono gli scenari possibili. Il primo, è quello di un mercato orso catartico che colpisca i mercati degli asset finanziari, e che di norma viene scatenato dall’aumento dei tassi di interesse. L’altro scenario è quello di un “lungo periodo di ritorni relativamente bassi”, che sarebbe accompagnato da “una direzione dei mercati poco chiara”.