Wall Street nervosa: JP Morgan crolla fino a -6% post utili, giù anche Citigroup. Delusione vendite al dettaglio
Wall Street nervosa dopo la delusione per il dato relativo alle vendite al dettaglio, decisamente peggiore delle attese, e alle prese con i ribassi dei titoli JP Morgan e Citigroup, in calo dopo la pubblicazione delle trimestrali.
L’indice Dow Jones cede 270 punti circa (-0,74%), a 35.844 punti circa; lo S&P 500 arretra dello 0,26% a 4.647 punti, mentre il Nasdaq segna un recupero dello 0,15% a 14.832 punti.
I tassi dei Treasuries a 10 anni salgono all’1,742%, ritracciando dal record dal periodo pre-pandemia testato giorni fa oltre l’1,80%.
Dal fronte macro, la batosta è arrivata per l’appunto dal dato relativo alle vendite al dettaglio di dicembre, che sono capitolate dell’1,9%, facendo decisamente peggio rispetto al trend invariato atteso dal consensus degli analisti, dopo il rialzo dello 0,2% di novembre (dato rivisto al ribasso dal +0,3% inizialmente reso noto). La flessione è stata la più forte degli ultimi 10 mesi.
Escluse le vendite del settore auto, le vendite al dettaglio sono scivolate del 2,3%, rispetto al +0,2% stimato dal consensus, e dopo la crescita dello 0,1% precedente (rivista al ribasso dal +0,3% precedente).
Escluse le vendite di auto e di benzina, il dato ha riportato una flessione del 2,5%.
Il motivo è da ravvisarsi nel balzo dei nuovi contagi in Usa e in tutto il mondo dovuto al diffondersi di Omicron, che ha affossato la propensione alle spese dei consumatori.
Variante Covid-19 a parte, il dato rimane preoccupante in quanto ha messo in evidenza anche il tonfo delle vendite online, pari a -8,7%.
Male tra i titoli JP Morgan, scivolata fino a -6%: il colosso bancario guidato da Jamie Dimon ha annunciato di aver concluso il quarto trimestre del 2021 con utili per $10,4 miliardi, o un utile per azione di 3,33 dollari, meglio dei $3,01 per azione attesi dal consensus degli analisti. L’eps tuttavia è sceso rispetto ai $3,79 per azione dello stesso periodo dell’anno precedente, quando i profitti si erano attestati a $12,14 miliardi.
Il fatturato è stato pari a $30,35 miliardi, meglio dei $29,9 miliardi del consensus, e in crescita rispetto ai $30,16 miliardi del quarto trimestre del 2020.
Il mercato si è focalizzato tuttavia sul trend del fatturato della divisione di trading, arretrato dell’11% a $5,3 miliardi.
Per la precisione, scomponendo il dato, il fatturato della divisione di reddito fisso è sceso del 16% a $3,3 miliardi, mentre quello della divisione di equity ha segnato un ribasso del 2% a $2 miliardi.
Dal canto suo, Jamie Dimon si è mostrato ancora una volta ottimista:
“L’economia continua a fare bene nonostante gli ostacoli legati alla variante Omicron, all’inflazione e alle strozzature della catena dell’offerta – ha commentato il ceo di JP Morgan – I crediti continuano a versare in buone condizioni, nonostante le commissioni nette estremamente basse, e rimaniamo ottimisti sulla crescita economica, visto che il sentiment delle aziende è positivo, e i consumatori stanno beneficiando della crescita del lavoro e dei salari”.
Male dopo la trimestrale anche Citigroup, che ha comunicato di aver concluso il quarto trimestre del 2021 riportando un utile netto in calo del 26% a $3,2 miliardi. L’utile per azione di Citigroup è sceso dagli $1,92 del quarto trimestre del 2020 a $1,46, facendo comunque meglio degli $1,38 per azione attesi dal consensus. Il fatturato si è attestato a $17 miliardi, rispetto ai $16,75 miliardi stimati dagli analisti. Citigroup ha assistito a un balzo delle spese operative del 18% su base annua a $13,5 miliardi.
Buy invece sul titolo dell’altra banca americana che ha diffuso oggi i propri numeri di bilancio. Si tratta di Wells Fargo, che ha reso noto di aver riportato nel quarto trimestre del 2021 utili in crescita a $5,75 miliardi, o $1,38 per azione, rispetto ai $3,09 miliardi, o 66 centesimi per azione, dello stesso periodo dell’anno scorso.
Il gigante bancario con sede a San Francisco ha battuto le attese degli analisti, che avevano previsto un eps di $1,11. Il fatturato è salito a $20,86 miliardi dai $18,49 miliardi del quarto trimestre del 2020 e meglio dei $18,79 miliardi attesi dal consensus.
“I cambiamenti che abbiamo apportato alla società e le prospettive di una continua e solida crescita economica ci rendono positivi su come siamo posizionati a entrare nel 2022”, ha commentato il ceo Charlie Scharf.
Da segnalare che le quotazioni di Wells Fargo sono schizzate del 16,7% dall’inizio del 2022, sulla scia del rialzo atteso dei tassi Usa da parte della Federal Reserve più hawkish (Goldman Sachs prevede almeno quattro rialzi dei tassi, quest’anno), con gli investitori che hanno scommesso sul miglioramento della redditività della banca e del settore bancario in generale. Lo S&P 500 nello stesso arco temporale ha perso il 2,3%.
Dal dato macro sono arrivate oggi anche nuove indicazioni sull’inflazione, grande protagonista di questa settimana con la pubblicazione, nei giorni scorsi, dell’indice dei prezzi al consumo e dell’indice dei prezzi alla produzione.
Oggi è stata la volta dell’indice dei prezzi alle importazioni, sceso dello 0,2%, rispetto al +0,7% di novembre e rispetto al +0,2% previsto dal consensus. Su base annua, tuttavia, il trend è stato di un aumento del 10,4%, al ritmo più forte dal rialzo pari a +10,6% del 2007. Esclusa inoltre la componente dei prezzi del carburante, il trend è stato di un aumento dello 0,5%. Ancora, su base annua, sempre esclusi i prezzi del carburante, il trend è stato di un balzo dell’indice dei prezzi alle importazioni pari a +6,4%, al record dal 2002. Su base annua, i prezzi del carburante sono scivolati a dicembre del 6,5%, riportando la prima flessione dall’agosto del 2021.
Reso noto infine il dato relativo alla produzione industriale degli Stati Uniti, sceso a dicembre dello 0,1%, facendo peggio del rialzo stimato dagli analisti, pari a +0,3%.
Il dato precedente è stato rivisto al rialzo a +0,7% dal +0,6% inizialmente comunicato. La produzione manifatturiera è scesa a dicembre dello 0,3%, rispetto al +0,5% atteso. L’utilizzo della capacità produttiva è stato pari al 76,5%, meno del 77% previsto.
Ieri Wall Street, e in particolare il Nasdaq, ha fatto i conti con la pubblicazione dell’indice dei prezzi alla produzione.
Il dato è scattato del 9,7% su base annua a dicembre, lievemente meno rispetto al balzo pari a +9,8% atteso ma in accelerazione rispetto al +9,6% precedente.
Il giorno prima era stato diffuso l’indice dei prezzi al consumo, volato del 7% a dicembre, al ritmo più forte dal 1982.
La speranza ieri era che la paura legata all’inflazione e dunque a una Fed più aggressiva sul fronte tassi passasse in secondo piano, lasciando il posto all’inizio della stagione delle trimestrali Usa.
Non è stato così, e a pagare è stato ancora il Nasdaq, con gli investitori che hanno preferito portare avanti la rotazione dai titoli growth ai titoli value. Ora l’indice segna un lieve rialzo, ma l’outlook per i tecnologici non è affatto roseo.
Così Alicia Levine, responsabile della divisione dell’azionario presso BNY Mellon Wealth Management, ha commentato il trend dei mercati alla Cnbc:
“L’impressione è che prezzare una Fed più hawkish richiederà un processo, e non una settimana. Sebbene molto sia stato prezzato la settimana scorsa, questo sarà un processo e credo che, nel corso del primo trimestre, ci sarà una maggiore volatilità sui titoli hi-tech e sulle azioni growth, in generale”.
Per Levine, “il primo trimestre sarà caratterizzato da un aumento dei rendimenti, da un aumento dei tassi, da una sovraperformance dei titoli ciclici, in un contesto sfidante per i titoli growth long-duration”.