Carige, aumento capitale inevitabile? Banca avrebbe bisogno in tutto di oltre 500 milioni
Carige, aumento di capitale inevitabile? La risposta potrebbe essere affermativa, stando a uno studio pubblicato da Il Sole 24 Ore, secondo cui la banca genovese, in aggiunta ai 320 milioni del prestito di sistema di cui ha beneficiato attraverso lo Schema volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei depositi (FITD) – prestito che comunque dovrà essere negoziato, visto che i tassi sui bond sono schizzati al 16%, – necessiterebbe di circa 200 milioni di aumento di capitale, “per compensare le perdite connesse al rientro degli NPL al livello medio del 6,5% del portafoglio crediti netti”.
Il quotidiano di Confindustria stila un’inchiesta sul caso Carige con l’aiuto di R&S-Mediobanca. Viene ricostruita la situazione in cui versa oggi la banca, commissariata dalla Bce a inizio anno, “con particolare riguardo ai crediti deteriorati” e viene effettuato un paragone con “gli ultimi dati della Popolare dell’Etruria e delle altre banche regionali appena prima del dissesto”.
Ne emerge che Carige sta messa meglio rispetto a quanto diverse banche stessero nel loro periodo di maggiore crisi che, in alcuni casi, ha posto fine alla loro esistenza:
A essere esaminate sono “anzitutto, le perdite su crediti in percentuale dei ricavi (il margine di contribuzione) – scrive Il Sole – se pesano troppo, si mangiano gli utili e le perdite finiscono per erodere il capitale”.
Esaminando questo parametro, emerge che “Veneto Banca era arrivata al 180,5% nel suo ultimo anno di vita autonoma, Popolare Vicenza al 171%, Carimarche a oltre 152% e Etruria a oltre 122% prima di saltare. Tutte le banche finite in amministrazione speciale avevano indicatori più alti di Carige che nei primi nove mesi del 2018 evidenziava un rapporto tra perdite sui crediti e margine di contribuzione del 53,7%, in rientro dal 76% di fine 2017″.
La situazione in cui versa Carige è inoltre migliore rispetto a quella in cui si trovavano le banche sopracitate anche esaminando il Texas ratio (crediti deteriorati lordi in percentuale del patrimonio netto tangibile più i fondi svalutazione crediti).
Detto questo, il quotidiano di Confindustria spiega le aspettative di un aumento di capitale da 200 milioni di euro circa, facendo riferimento all’NPL ratio.
Lo studio fa riferimento ai dati di Bankitalia contenuti nel rapporto di stabilità finanziaria, da cui è emerso che a metà del 2018 l’NPL ratio – il rapporto tra crediti deteriorati netti e crediti netti totali a clienti- era del 6,5% per il sistema bancario italiano.
“Con la cessione dei pacchetti di crediti marci dell’ultima parte del 2018 si può stimare (invece) che l’NPL ratio dell’istituto genovese – rispetto alla situazione di settembre – sia sceso di 3 punti, dal 14,6% all’11,6%“. Valore tuttavia ancora troppo alto rispetto al livello medio del 6,5% del sistema bancario italiano.
Come far scendere, dunque, l’NPL ratio?
La risposta è che “occorrerebbe far sparire 850 milioni di crediti dubbi al netto degli accantonamenti. Azzerando le sofferenze nette residue (216 milioni) e mettendo mano per il resto agli Utp si produrrebbero perdite aggiuntive per circa 200 milioni, che dovrebbero essere compensate con un aumento di capitale di analogo importo per rispettare il total capital requirement dello Srep, dando per acquisiti i 320 milioni Tier 2 a sostegno del total capital ratio che oggi vengono forniti dall’oneroso prestito di sistema”.
Per l’esattezza:
“La Bce aveva chiesto un total capital requirement del 13,1% nel 2018, elevato al 13,75% per il 2019 nell’ipotesi contenuta nel prospetto dell’aumento di capitale da 400 milioni che è saltato a dicembre. Ci si arriverebbe appunto con poco più di 500 milioni di capitale di vigilanza complessivo: almeno 190 milioni di mezzi freschi e 320 milioni per compensare il prestito tier 2 da rinegoziare”. Praticamente, di oltre mezzo miliardo di euro.