Dollaro australiano cade a minimi da flash crash ‘Apple’. Sterlina: outlook in caso di no-deal Brexit. E l’euro?
Tra le valute osservate speciali delle ultime ore, c’è sicuramente il dollaro australiano, che oggi è arrivato a a scendere ben al di sotto dei minimi di febbraio, toccando il valore più basso da quando è rimasto vittima, insieme ad altre valute, dell’imponente flash crash che ha colpito il forex all’inizio dell’anno, per effetto dello shock Apple.In quell’occasione, a inizio 2019, l’avversione al rischio scatenata dalle dichiarazioni di Tim Cook, numero uno di Apple, aveva portato gli investitori a privilegiare gli asset più sicuri, come lo yen. Nei confronti della valuta giapponese, il dollaro australiano, considerato spesso termometro dell’appetito globale per il rischio, era crollato fino al minimo dal 2009 scivolando durante le contrattazioni a $0,6776.
A zavorrare la moneta sono i timori sui consumi e il mercato immobiliare australiano, confermati alla vigilia dal Pil deludente ma anche dalle dichiarazioni di Philip Lowe, numero uno dell’ RBA (Reserve Bank of Australia), la banca centrale australiana.
Altra valuta protagonista delle ultime ore – ma in realtà anche degli ultimi mesi – è la sterlina. Focus a tal proposito sulle stime di più di 60 strategist che hanno partecipato a un sondaggio di Reuters sul forex.
In media, gli esperti prevedono che il rapporto sterlina-dollaro GBP/USD scivolerebbe fino a $1,20 nel caso di un no-deal Brexit. Tuttavia, la maggior parte degli interpellati crede che alla fine un’intesa sarà raggiunta, ragion per cui la sterlina dovrebbe oscillare attorno a $1,32 alla fine di marzo, per poi salire nei sei mesi successivi fino a $1,35. Il target a 12 mesi è stato fissato a $1,39.
Riguardo al rapporto euro-sterlina, in un contesto in cui si prevede che la Bce rimanderà il rialzo dei tassi al 2020, l’outlook è di un valore di 86 per i target a 1-3-6 mesi, mentre il target a 12 mesi è stato fissato a 85,4.
Cosa farà invece secondo gli strategist il cambio EUR/USD?
Le previsioni parlano di un indebolimento del dollaro, che dovrebbe consentire all’euro di salire fino a $1,19 tra un anno, dunque del 5% circa, rispetto agli $1,13 attuali. Gli strategist ritengono che la prospettiva di un accordo commerciale Usa-Cina sia stata già scontata e che, di conseguenza, l’annuncio di un’intesa non dovrebbe influenzare il dollaro più di tanto.
Secondo gli analisti di MUFG, in particolare, “la fine del processo di riduzione degli asset presenti nel bilancio della Federal Reserve, ovvero la fine del processo di Quantitative Tightening, rafforzerà la view di una banca centrale che sarà meno incline ad alzare i tassi sui fed funds.
“Tra l’altro – continuano gli analisti – c’è già la prova della maggiore riluttanza degli investitori esteri a posizionarsi sugli asset denominati in dollari, a conferma di un appetito ridotto, che in parte si giustifica con le quotazioni della valuta e in parte con le preoccupazioni sul deterioramento dell’outlook sul deficit degli Stati Uniti”.
Tornando al dollaro australiano, ieri il governatore della banca centrale Philip Lowe ha detto chiaro e tondo che “è difficile immaginare che i tassi di interesse (lasciati invariati due giorni fa all’1,5%), saliranno nel corso del 2019”, visto che “è improbabile che l’inflazione, almeno nel breve, rappresenterà un problema”.
La RBA è passata ieri a un approccio ‘neutrale’ di politica monetaria, il che significa che le probabilità di un rialzo dei tassi sono quanto quelle di un taglio dei tassi.
Ciò ha portato diversi analisti a rivedere le previsioni sui tassi di interesse australiani. UBS, per esempio, stima due tagli dei tassi di 25 punti base a luglio e novembre, e motiva la sua view con l’accelerazione ribassista dei prezzi degli immobili, il forte rallentamento dell’economia australiana e la crescita del rischio di un credit crunch.
Dal canto suo, JP Morgan rimane bullish sul dollaro australiano – che invece secondo molti dovrebbe indebolirsi, viste le minori probabilità di una stretta monetaria e le maggiori di una mossa di politica monetaria espansiva.
Certo, anche JPM teme il deterioramento dei fondamentali economici del paese, a causa del peggioramento del mercato immobiliare. Tuttavia, Julio Callegari, responsabile della divisione di gestione dei tassi locali e del forex in Asia della banca, crede anche in una Federal Reserve colomba, che di per sé zavorrerà il dollaro Usa. Callegari ritiene inoltre probabile una ripresa dell’economia nel secondo semestre del 2019, accompagnata dallo smorzarsi delle tensioni commerciali tra Usa e Cina. A suo avviso, di conseguenza, il rapporto AUD/USD potrebbe salire fino a quota 0,75.
Oggi il dollaro australiano ha segnato un altro forte ribasso, scivolando ai minimi in due mesi a $0,70205 dopo il dato relativo alle vendite al dettaglio, salite dello 0,1% a gennaio, peggio delle attese.