Caos Brexit: a tre settimane dal 29 marzo, il destino del Regno Unito (e della sterlina) è un rebus
Focus sulla sterlina, in quella che sarà una settimana decisiva sugli sviluppi della Brexit.
Nella giornata di domani, il Parlamento si riunirà per votare per la seconda volta l’accordo che la premier britannica Theresa May ha siglato con l’Unione europea sui termini del divorzio del Regno Unito dal blocco europeo, dopo la clamorosa bocciatura dello scorso 15 gennaio.
Sarebbe però forse il caso di dire, piuttosto, che il Parlamento DOVREBBE riunirsi domani visto che alcune fonti, tra cui quelle interpellate da Bloomberg, fanno sapere che May starebbe ancora considerando l’eventualità o meno di indire il voto.
L’esito del secondo voto è, infatti, scontato: Westminster dovrebbe esprimersi anche stavolta per il no, bocciando la mozione che May si appresta a ripresentare.
A quel punto, il Parlamento avrà l’opportunità di prendere il timone e decidere il percorso per cercare di sbloccare l’impasse, a meno di tre settimane dalla data effettiva in cui il divorzio dovrebbe concretizzarsi, ovvero dal prossimo 29 marzo.
La scelta è tra il lasciare l’Ue senza che l’accordo con Bruxelles sia stato ratificato, dunque tra il no-deal Brexit e il posticipare la Brexit di tre mesi. Il tabloid Sun fa notare che, vista la maggioranza a favore del Remain tra i parlamentari, è molto probabile che alla fine il Parlamento britannico affossi lo scenario peggiore, votando contro l’opzione no-deal Brexit.
La speranza fa salire la sterlina, che testa il massimo intraday fino a $1,308 sulla scia di indiscrezioni secondo cui May si starebbe recando a Strasburgo bnella speranza di procedere a ulteriori trattative con l’Unione europea.
Questa mattina, il portavoce di Theresa May ha confermato che il voto domani ci sarà, così come inizialmente previsto. Ma le sorprese, in questo processo sulla Brexit che dura da anni, e che sta portando l’Europa all’esasperazione, non sono mai mancate.
Il Brexiteer tra i più convinti, Nigel Evans, ha riferito al Sun che “non ha senso rimettere al voto lo stesso accordo, per lei (la premier May) sarebbe lo scenario peggiore”. Piuttosto, ha continuato, la “cosa migliore che May potrebbe fare ora è riprendere il controllo, decidendo di posticipare il voto (del Parlamento)”.
Secondo Evans, la premier dovrebbe insomma tenere saldi i propri nervi e fare pressioni su Bruxelles affinché le garantisca ulteriori concessioni, fino al prossimo 29 marzo, data in cui il divorzio diventerebbe effettivo. Anche Mark Francois, altro membro senior dello European Research Group, ha fatto notare:
“Perchè tornare alla Camera dei Comuni per essere di nuovo bocciati…per quale obiettivo agire in questo modo?”.
Evidentemente, May vuol tener fede alle promesse fatte il mese scorso, quando ha garantito al Parlamento entro il 12 marzo (domani) un voto vincolante al suo accordo aggiungendo che, se avesse perso, sarebbero stati i parlamentari a decidere cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi.
Tre i voti attesi questa settimana: quello di domani, con cui la Camera dei Comuni tornerà a esprimersi sull’accordo sulla Brexit siglato da May e dall’Ue; quello di mercoledì 13 marzo, in cui la Camera dovrebbe votare sulla prospettiva di un no-deal Brexit; quello di giovedì, con cui i parlamentari potrebbero rimandare la Brexit di tre mesi.
Così commenta la situazione Quentin Fitzsimmons, gestore obbligazionario e Brexit Specialist presso T. Rowe Price:
“Il Regno Unito deve formalmente uscire dall’Unione Europea il 29 marzo. Nonostante manchino ormai solo tre settimane, rimangono aperti diversi possibili scenari, anche se negli ultimi giorni alcuni aspetti sembrano essersi chiariti. Nei giorni scorsi, molto movimentati per la politica britannica, le prospettive di approvazione dell’accordo di uscita proposto dal Primo Ministro, Theresa May, in precedenza arenato, si sono ravvivate. Ciò è determinato dalla convinzione che lo European Research Group (ERG) – la parte del Partito Conservatore schierata con maggior decisione a favore dell’uscita dall’UE – e il Democratic Unionist Party (DUP) siano ora favorevoli all’accordo proposto dal Governo. Questo possibile cambiamento di orientamento da parte di ERG e DUP sarebbe dovuto al desiderio di assicurarsi che il Regno Unito lasci l’Unione Europea il 29 marzo, nei tempi stabiliti. L’obiettivo è evitare voti parlamentari successivi su degli emendamenti creati per affermare che il Regno Unito lasci l’UE con un accordo e richieda un’estensione dell’Articolo 50. Infatti, alcuni giorni fa il Primo Ministro ha promesso che i parlamentari avranno la possibilità di respingere un’uscita senza accordo e di imporre un rinvio ‘limitato’ della Brexit, nel caso in cui il deal non verrà approvato dal Parlamento. Nel frattempo, anche il Partito Laburista si è schierato a favore di un secondo referendum sulla Brexit, dopo aver visto il proprio piano alternativo respinto dal Parlamento. Il partito all’opposizione cercherà probabilmente di far approvare il secondo referendum non appena il Primo Ministro ripresenterà la sua proposta di accordo in Parlamento, cosa che dovrebbe avvenire il 12 marzo. I 4 scenari principali: 1) Il Parlamento approva una versione modificata dell’accordo che il Governo britannico ha concordato con l’UE e il Regno Unito lascia l’Unione il 29 marzo. 2) Il Governo britannico non riesce a far approvare il deal dal Parlamento e il Regno Unito lascia l’Unione Europea il 29 marzo senza disposizioni in atto e senza un periodo di transizione che permetta alle imprese e alle persone di prepararsi. Gli scambi commerciali tra UK e UE diventerebbero immediatamente soggetti alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. 3) L’UE concede un’estensione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, che stabilisce il 29 marzo come data legalmente vincolante per la Brexit, lasciando più tempo al Governo britannico per far approvare un accordo dal Parlamento. Questo scenario potrebbe implicare una consultazione dell’elettorato britannico tramite un secondo referendum sul deal. 4) Il Primo Ministro Theresa May decide di chiedere le elezioni anticipate, nel tentativo di incrementare la maggioranza parlamentare del Partito Conservatore e facilitare l’approvazione di un accordo. In questo scenario sarebbe comunque necessaria un’estensione dell’Articolo 50″.
Focus intanto sulle previsioni relative al trend della sterlina di Michael Hewson, responsabile analista dei mercati di CMC Markets. Riguardo al rapporto GBP/USD, ovvero sterlina-dollaro, Hewson sottolinea che “un’inversione su grafico settimanale al ribasso potrebbe benissimo vedere un movimento verso 1,2980 in corrispondenza del supporto della trendline dai minimi di quest’anno a 1,2430. Una rottura sotto 1,2980 e sotto la media mobile a 200 giorni potrebbe vedere ulteriori ribassi verso 1,2770 e l’area 1,2500. Dobbiamo stabilizzarci al di sopra del livello di 1,3080 per una ripresa”.
Riguardo al rapporto EURGBP (euro-dollaro), “la recente rottura al di sotto dell’area 0.8620/30 si è dimostrata piuttosto breve e il recupero al di sopra del livello di 0.8650 ha il potenziale per riportarci verso l’area 0.8720. Solo un ritorno al di sotto dell’area 0.8620/30 riapre la strada ad un ritorno ai minimi a 0,8540”.