Brexit da Mission Impossible. Westminster costringe May a chiedere nuovo rinvio. Occhio a sterlina. E a nota S&P
Non c’è che dire: in quest’ultimo periodo i colpi di scena a Westminster sicuramente non mancano. L’ultimo è quello di ieri sera, con la Camera dei Comuni britannica che ha votato una mozione che esclude l’opzione di una no-deal Brexit, dunque di una Hard Brexit, e che costringe il governo a chiedere un ulteriore rinvio della data del divorzio del Regno Unito dal blocco europeo.
Questo significa che la premier Theresa May dovrebbe chiedere un ulteriore rinvio del divorzio degli UK dall’Unione europea. Rinvio che era stato già accordato qualche giorno fa, quando il Consiglio europeo aveva concesso di posticipare la Brexit dalla data precedentemente fissata al 29 marzo, al prossimo 12 aprile. La mozione per allungare ulteriormente i tempi è passata con uno scarto di appena un voto – 313 a favore su 312 contrari e, presentata dalla laburista Yvette Cooper e dal conservatore Sir Oliver Letwin, è riuscita a batte emendamenti volti a ostruirla, che erano stati stilati sia dai Brexiteers che dal governo di Theresa May.
Evidente la rabbia dei Brexiters, con il veterano Bill Cash che ha definito la mozione “riprovevole”, aggiungendo che il suo passaggio rappresenta un precedente terribile: “E’ qualcosa di profondamente anti-democratico”.
A questo punto la proposta di legge passa alla Camera dei Lord. Il punto è che Westminster dovrà comunque aspettare la risposta dell’Ue, che dovrà decidere se concedere o meno un nuovo rinvio: secondo alcune fonti, e anche secondo quanto ha detto lo stesso presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker nella giornata di ieri, un nuovo rinvio potrebbe essere concesso solo attraverso una lunga estensione, di almeno nove mesi.
Il sì di Bruxelles non è affatto scontato, per una serie di motivi: intanto, l’Ue non vuole accollarsi la responsabilità di avere ostacolato il compimento della volontà degli elettori britannici, che hanno scelto il Leave nel referendum del 23 giugno del 2016.
Allo stesso tempo, un Hard Brexit andrebbe contro i suoi stessi interessi, per la crisi di fiducia e le reazioni dei mercati che innescherebbe, a danno dell’economia europea.
La premier Theresa May, nel frattempo, è impegnata nelle trattative che ha deciso di avviare con il leader del partito laburista, Jeremy Corbyn. In assenza di un compromesso, si prevedono ulteriori voti su quello che sarà il destino della stessa Brexit.
Maggiore chiarezza sarà fatta, si spera, in occasione della riunione del Consiglio europeo, prevista per il prossimo 10 aprile. La sterlina è debole, sotto la soglia di $1,32, mentre i mercati guardano anche alla nota dedicata al Regno Unito diramata da Standard & Poor’s, che ha un titolo più che eloquente: “Countdown To Brexit: What Might Have Been For The U.K. Economy.” Ovvero: Conto alla Rovescia per la Brexit: Come sarebbero potute andare le cose per l’economia UK”.
Gli analisti hanno elaborato le stime utilizzato un approccio econometrico noto come metodo Doppelganger.
“Prevediamo che, se il Regno Unito avesse deciso di non lasciare l’Unione europea nel referendum del 2016, la sua economia avrebbe potuto crescere di circa +3% entro la fine del 2018 – scrive l’economista senior di S&P Global Ratings, Boris Glass – Ciò significa che l’economia UK ha rinunciato a 6,6 miliardi di sterline in termini di crescita in ognuno dei 10 trimestri successivi al referendum“.
“L’effetto più visibile è stato il deprezzamento della sterlina – si legge ancora nella nota – che ha scatenato l’aumento dell’inflazione. Il risultato ultimo è stato l’erosione del potere di acquisto delle famiglie britanniche. Le spese delle famiglie per consumi sarebbero state più solide in modo considerevole – in linea con la crescita del Pil – se non ci fosse stato il referendum, visto che, su base netta, le esportazioni non hanno beneficiato del (calo della sterlina) in alcun modo significativo”.
Sulla sterlina, così si legge nella nota “Forex Flash” dell’Ufficio Studi di Intesa SanPaolo:
“Bene per la GBP che il primo incontro May-Corbyn sia stato ‘costruttivo’, cioè che le posizioni siano ancora lontane, ma non così irriconciliabili da passare al piano B. In caso di convergenza, poi sarà da verificare la tenuta interna dei due partiti all’annuncio dei termini dell’intesa. Il parlamento ha approvato con un solo voto di scarto una proposta di legge (non una semplice mozione) che obbligherà il governo a chiedere una estensione lunga del periodo negoziale in caso di fallimento dei colloqui con l’opposizione, escludendo l’ipotesi di perseguire un’uscita senza accordo. La proposta di legge necessita ora dell’approvazione alla Camera dei Lord, attesa nei prossimi giorni. Ovviamente, la richiesta di proroga dovrà essere comunque motivata da sviluppi politici importanti, e obbligherà il governo anche a indire l’elezione degli eurodeputati”.