E dopo il panic selling arriva il panic buy. Braccio di ferro tra market mover geopolitici ed economici
Forte impennata dei prezzi del petrolio che, dopo il capitombolo di ieri, segnano un poderoso rally.
Rally che però non ha nulla a che vedere con i fondamentali del mercato, ma con le nuove tensioni geopolitiche, dopo la notizia relativa all’attacco sferrato contro due petroliere nel Golfo dell’Oman, canale di passaggio che ospita il 20% circa del commercio globale di petrolio.
Esplosioni e incendi avrebbero colpito entrambe le petroliere e gli equipaggi sarebbero stati evacuati.
In generale, le quotazioni del petrolio continuano a essere preda di forti oscillazioni, e c’è anche qualcuno che, commentando i pesanti ribassi delle ultime sessioni, ha parlato della presenza di un momento in stile Lehman Brothers.
La volatilità è innegabile, se si considera che, nella sessione di ieri, i prezzi del petrolio WTI scambiati a New York sono capitolati del 4%, a $51,14, valore minimo di chiusura dallo scorso 14 gennaio.
Il Brent ha terminato le contrattazioni in flessione del 3,7%, chiudendo a $59,97, valore più basso di chiusura dal 28 gennaio scorso.
Oggi invece il Brent vola fino a +4,5% per poi ridurre i guadagni al +2,8% e viaggiare attorno a $61,65 (riferimento al contratto Brent con scadenza ad agosto). Il WTI scambiato a New York con scadenza a luglio è salito invece nelle ultime ore fino a +2,5%, a $52,42 al barile.
A scatenare i forti smobilizzi è stata ieri la pubblicazione dei dati relativi alle scorte Usa pubblicati dall’agenzia americana EIA. I dati hanno messo in evidenza un rialzo delle scorte di petrolio crude inatteso, tra l’altro per la seconda settimana consecutiva.
Il rialzo è stato di 2,2 milioni di barili, la scorsa settimana, a fronte del calo di 481.000 barili stimato dal consensus. Pari a 485,5 milioni di di barili, le scorte commerciali degli Stati Uniti viaggiano praticamente al massimo dal luglio del 2017, e al di sopra dell’8% circa rispetto alla media degli ultimi cinque anni che si riferisce a questo periodo specifico dell’anno.
Al balzo dell’offerta statunitense si è aggiunto negli ultimi giorni l’annuncio dell’AIE (Agenzia internazionale dell’energia), che l’altro ieri ha tagliato le stime sulla crescita della domanda di petrolio per il 2019.
Stando a quello che riporta il sito Cnbc, l’outlook negativo sulle quotazioni di petrolio è tale da aver convinto diversi gestori di hedge fund a uscire dalle posizioni accumulate sul petrolio, a causa dei continui timori legati allo stato di salute dell’economia globale.
Proprio per questo, secondo Goldman Sachs i paesi Opec e non Opec confermeranno i tagli alla produzione decisi negli ultimi mesi:
Così commenta il quadro generale Koen Straetmans Senior Strategist Multi Asset di NN Investment Partners:
“Le speranze infrante di un’imminente svolta nei negoziati commerciali USA-Cina hanno portato, a maggio, ad una correzione per gli asset rischiosi, materie prime comprese. Gli investitori hanno percepito che i segnali incoraggianti di aprile difficilmente avrebbero messo radici e questo ha pesato sulle prospettive della domanda di commodity. Finora, questa è stata resiliente, aiutata dai cambiamenti di politica monetaria delle principali banche centrali e da un rafforzamento delle politiche di sostegno cinesi messe in campo per compensare le conseguenze del protezionismo. Le autorità cinesi hanno già manifestato l’intenzione di contrastare con ulteriori iniziative politiche qualsiasi diminuzione della domanda derivante da un’ulteriore escalation tariffaria. Per quanto riguarda il mercato petrolifero, le previsioni sulla domanda sono state finora ridotte solo marginalmente, fino a livelli di crescita ancora dignitosi di circa 1,2-1,3 milioni di barili al giorno nel 2019, e i mesi estivi a livello stagionale mesi in cui la domanda di norma è forte. Tuttavia, a seguito delle crescenti tensioni geopolitiche, hanno iniziato a manifestarsi le preoccupazioni per un indebolimento della domanda petrolifera, con conseguente correzione dei prezzi del greggio nel mese di maggio. Ciononostante, l’impatto sull’offerta dovrebbe superare l’effetto della domanda, sostenendo i prezzi. La decisione degli Stati Uniti di aumentare la pressione sull’Iran ponendo fine alle deroghe alle sanzioni da maggio in poi per otto paesi che importano petrolio iraniano continua a far sentire le sue conseguenze. Si stima che le esportazioni di greggio iraniano siano scese ulteriormente al di sotto di 0,5 milioni di barili al giorno da oltre 1 milioni di barili al giorno un mese fa, mentre la produzione ha continuato a diminuire e ora è di circa 2,3 milioni di barili al giorno, un calo di circa 1,5 milioni di barili al giorno dai livelli di maggio dello scorso anno, quando gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo nucleare e hanno annunciato le nuove sanzioni. L’Iran sembra meno propenso ad attuare la sua minaccia di bloccare lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale scorre circa il 40% del commercio mondiale di petrolio greggio e prodotti petroliferi, ma la possibilità rimane potenzialmente dirompente. Nel frattempo, la tensione militare in Libia sta mantenendo a rischio circa 600.000 barili al giorno di produzione. Quella del Venezuela è scesa ulteriormente al di sotto dei 500.000 barili al giorno, mentre la scarsità di risorse finanziarie e la mancanza di investimenti in passato rendono improbabile il ripristino della produzione petrolifera nel prossimo futuro anche in un ambiente politico normalizzato. Il gruppo OPEC+ dovrebbe mantenere un atteggiamento attendista fino alla riunione prevista per il 25-26 giugno, continuando a rispettare l’accordo sul taglio della produzione. Inoltre, il comitato ministeriale misto di controllo del gruppo ha annunciato nella riunione di Geddah che intende prorogare l’accordo nella seconda metà dell’anno. La riunione dell’OPEC di fine giugno sarà interessante, non solo per quanto riguarda l’estensione dell’accordo sul taglio di produzione fino a fine anno, ma anche per quanto riguarda le dimensioni del taglio. Molto dipenderà dalla situazione del mercato in quel momento e dalle ulteriori ricadute della mancata proroga delle deroghe iraniane. Sembra ora probabile che l’Arabia Saudita aumenterà con cautela la produzione petrolifera. In termini di posizionamento degli investitori nel petrolio greggio, la recente preoccupazione per il calo della domanda dovuto alle tensioni commerciali ha portato ad un rapido declino del posizionamento netto a lungo termine. Inoltre, la curva petrolifera resta in una fase di backwardation, il che implica roll yield positivi e aumenta l’attrattiva delle nuove posizioni lunghe nel petrolio”.