Opec+ estende tagli output fino a marzo 2020, ma reazione petrolio è anomala. Cosa aspettarsi
Reazione all’annuncio dell’Opec a scoppio ritardato da parte dei prezzi del petrolio, che salgono oggi, dopo aver perso fino a -4% nella sessione della vigilia. Oggi le quotazioni sono in rialzo, con il WTI scambiato a New York che avanza dello 0,69% a quota $56,64 e il Brent che fa +0,87% a $62,90.
Come spiegano gli analisti di Mps Capital Services, “nonostante l’estensione dei tagli da parte dell’OPEC+ ed il forte calo delle scorte private API, ieri le quotazioni del greggio sono calate in modo marcato (-4,1% il Brent)”. Tanto che “il Segretario generale dell’OPEC, Barkindo, ha definito il movimento come ‘anomalo’. E’ stata la peggiore reazione del greggio ad una riunione OPEC dal 2014″.
L’annuncio dell’Opec è stato insomma del tutto snobbato dal mercato, nonostante il cartello avesse garantito un’estensione dei tagli all’offerta fino al marzo del 2020, proprio nell’ottica di risollevare i prezzi.
“Il meeting dell’OPEC + (per meeting dell’OPEC+ si intende la riunione tra i paesi appartenenti al cartello dell’Opec più la Russia) ha confermato la volontà di rimanere uniti in tempi difficili, caratterizzati dall’indebolimento dell’outlook sulla domanda globale. L’obiettivo è quello di puntare su un mercato petrolifero più equilibrato, nonostante le chiare implicazioni che ci saranno sulle quote di mercato”, ha commentato, stando a quanto riportato dalla Bce, Amarpreet Singh, analista presso Barclays Commodities Research.
Detto questo, secondo gli analisti di Mps Capital Services, “un motivo del calo potrebbe risiedere nelle diversità di opinione sull’obiettivo dei tagli tra Arabia e Russia. L’Arabia vorrebbe riportare le scorte OCSE verso la media del periodo 2010-14 (160Mln meno di adesso), mentre la Russia ha espresso riserve in tal senso. Il ministro petrolifero Novak ha dichiarato, infatti, che prima di modificare l’obiettivo bisogna considerare i cambiamenti della domanda ed offerta dal 2014, con la prima su valori assoluti più alti rispetto al passato”.
Gary Ross di Black Gold Investors ha fatto notare in ogni caso che “l’Arabia Saudita sta facendo il possibile per permettere ai prezzi del petrolio di tornare a $70 al barile, nonostante quello che Trump desidera (prezzi del petrolio bassi). Tuttavia, quella soglia non è stata raggiunta, neanche con il calo delle esportazioni di petrolio dall’Iran e dal Venezuela. E le ragioni risiedono nella debolezza della domanda e nella crescita dell’offerta di gas di scisto”.
Insomma, neanche le tensioni geopolitiche sembrano riuscire a dare un assist duraturo ai prezzi del petrolio.
Warren Patterson, responsabile della divisione di strategia sulle commodities di ING, nella sua nota ha messo in evidenza lo stesso strano fenomeno: “Prolonged cuts…yet market sells off”. “Tagli prorogati…e nonostante ciò è sell off sui mercati”.
A suo avviso “il mercato certamente non ha reagito nel modo che i membri dell’Opec avrebbero desiderato”. I prezzi “hanno infatti azzerato tutti i guadagni di lunedì (ieri) e oltre”. In questa situazione, “crediamo che una ragione chiave che giustifichi questa debolezza sia il permanere di continue preoccupazioni sulla domanda“.
Secondo l’esperto di ING, “c’è, inoltre, anche il problema di quanto questi tagli potranno essere sostenibili in un’ottica di più lungo termine, visto che i produttori americani sono più che felici di riempire il vuoto lasciato dai tagli dell’Opec+”.
ING prevede in ogni caso che i prezzi si rafforzeranno rispetto ai livelli attuali, con il Brent che si attesterà in media a $69 al barile nel corso del terzo trimestre e il WTI a $73 nel quarto trimestre. Questo, “perchè dovremmo assistere a una ripresa stagionale della domanda nel corso del terzo trimestre. Tale fattore, combinato con i continui tagli dell’Opec+ e con le ulteriori flessioni (dell’offerta) dal Venezuela e dall’Iran dovrebbero rendere più scarsa l’offerta. In più, le continue tensioni in Medio Oriente dovrebbero fornire un qualche sostegno al mercato”.