Petrolio giù dopo fiammata vigilia, ‘sanzioni Usa contro Russia non sono contro oil’. Ma c’è chi teme boom +40%
Dopo la fiammata della vigilia dovuta all’escalation delle tensioni tra la Russia di Vladimir Putin e l’Occidente, i prezzi del petrolio rallentano la loro corsa.
Ieri il Brent ha superato anche quota $99, a $99,50 al barile, con un rally del 5% circa, a un passo da quota $100 e al record dal settembre del 2014. Oggi il contratto perde lo 0,38% a $96,47 al barile, mentre il WTI scambiato a New York arretra dello 0,55% a $91,40.
A frenare la corsa del petrolio, le sanzioni non troppo aggressive che l’amministrazione Biden ha annunciato contro la Russia.
Così un funzionario senior del dipartimento di Stato Usa:
“Le sanzioni che sono state imposte oggi così come quelle che verranno imposte nel breve futuro non prendono e non prenderanno di mira i flussi di petrolio e di gas”.
C’è anche il fattore Iran a deprimere le quotazioni del petrolio: in caso di un accordo tra Teheran e le potenze mondiali, sul mercato petrolifero potrebbe tornare una quantità di offerta superiore a 1 milione di barili al giorno dall’Iran.
Tuttavia, occhio al commento rilasciato al Wall Street Journal dal capo economista di RSM Joseph Brusuelas.
Brusuelas ha sottolineato che uno shock energetico provocato da una guerra tra l’Ucraina e la Russia ridurrebbe la crescita del PIl Usa dell’1% nel corso del prossimo anno, aumentando l’inflazione di 2,8 punti percentuali nel corso dei prossimi tre-sei mesi prima di una eventuale stabilizzazione delle tensioni in corso tra le controparti:
“C’è chiaramente una certa incertezza su come i mercati mondiali dell’energia reagirebbero a una invasione dell’Ucraina da parte della Russia – ha continuato l’economista della società di consulenza RSM – Una guerra su vasta scala in Europa potrebbe portare i prezzi del Brent a $110 al barile”, in crescita del 14% circa rispetto ai livelli di ieri.
Non solo. In uno scenario alternativo l’esperto teme che i prezzi del petrolio possano schizzare anche del 40%, fattore che porterebbe l’indice dei prezzi al consumo Usa a superare il ritmo annuale di crescita a oltre +10%.