Bond Eurozona e quell’oscillazione violenta che non è passata inosservata. In cantiere delusione Bce?
I dati che provengono dal fronte macro della Germania – come il pessimo diramato oggi, relativo alla produzione industriale – ricordano agli investitori come le sfide che l’economia globale, in particolare l’Eurozona, deve affrontare siano ancora diverse. Anche il rapporto anticipatore del Pil, reso noto dall’Istat, ha confermato come l’Italia rimanga in una fase di stagnazione. Stesso segnale dalle vendite al dettaglio.
Eppure, nella settimana che si avvia a conclusione, i bond dell’Eurozona sono stati attaccati da uno dei sell off più pesanti – su base settimanale -del 2019.
Il motivo? Più che motivo, si fa riferimento a diversi fattori, tra cui la formazione del governo M5S-PD in Italia, che ha dissipato i timori legati all’incertezza politica del paese e, dal fronte commerciale, la notizia relativa all’incontro tra le delegazioni Usa e Cina, all’inizio di ottobre, per tornare al tavolo delle trattative e frenare la guerra dei dazi.
La minore avversione al rischio percepita dagli investitori ha provocato il forte smobilizzo dei bond sovrani, percepiti di norma come asset più sicuri rispetto ai titoli azionari. Il risultato è stato, in alcuni casi, un forte rialzo dei rendimenti.
Ma questa parentesi ribassista del settore del reddito fisso ha i presupposti per continuare?
In realtà oggi, sulla scia dei dati macro negativi che portano alcuni economisti a dare quasi per certa una recessione in Germania, i tassi dei Bond a dieci anni si ‘sono allineati’ alla realtà dei fatti, e hanno puntato verso il basso. Oggi, dunque, si è tornati ad acquistare la carta tedesca, con il risultato che i tassi a 10 anni sono scesi fino a -0,61%. Ma, guardando all’intera settimana, i tassi a dieci anni dei Bund sono balzati di ben 10 punti base, riportando uno dei guadagni su base settimanale più sostenuti del 2019.
A far salire i rendimenti dei bond dell’Eurozona, sono stati anche i dubbi sul bazooka che la Bce dovrebbe annunciare la prossima settimana, in occasione della riunione del Consiglio direttivo di giovedì, 12 settembre.
La domanda, in primis, è la seguente: ma questo bazooka monetario di cui si è tanto parlato, che prenda la forma di un nuovo Quantitative easing, o di un ulteriore taglio dei tassi sui depositi già negativi al -0,40%, arriverà davvero?
Gli interrogativi sono stati alimentati dalle recenti dichiarazioni del numero uno della banca centrale francese ed esponente del Consiglio direttivo della banca centrale europea, Francois Villeroy de Galhau, che si è chiesto – e ha chiesto – se davvero il rilancio del Qe sia necessario.
Di colpo, negli ultimi giorni, dichiarazioni meno dovish sono arrivate anche da altri esponenti della Bce.
Verso la fine di agosto il vicepresidente della Bce, Louis de Guindos, ha affermato che, sebbene sia importante comprendere la view che i mercati hanno riguardo alla performance dell’economia, la politica monetaria dipende dai dati macroeconomici, non dalle scommesse o dalle aspettative dei mercati stessi.
Qualche giorno dopo, in un’intervista concessa al quotidiano austriaco Wiener Zeitung, Ewald Nowotny governatore della banca centrale austriaca Oesterreichische Nationalbank ed esponente del Consiglio direttivo della Bce, ha fatto un’ammissione che potrebbe sembrare quasi un mea culpa:
“Negli ultimi anni, forse, abbiamo seguito le aspettative dei mercati in modo eccessivo, evitando di deluderli. Sono dell’opinione che le banche centrali debbano essere istituzioni ferme e risolute, e debbano dunque, a volte, deludere i mercati“.
E la stessa Christine Lagarde, che sostituirà il numero uno della Bce Mario Draghi a partire dal prossimo 1° novembre, ha sottolineato nel suo recente intervento al Parlamento europeo che la Bce deve ascoltare e comprendere i mercati, ma non deve farsi guidare da essi.