Azionario giù dopo bombardamento contro centrale nucleare Ucraina. Borsa Tokyo e Hong Kong oltre -2%
Borse asiatiche in preda alle vendite dopo la notizia del bombardamento della più grande centrale nucleare dell’Europa, situata in Ucraina, da parte delle forze russe di Vladimir Putin.
A essere attaccato è stato l’impianto nucleare di Zaporizhazhia, costruito tra il 1984 e il 1995, il più grande in Europa e il nono nel mondo: ha sei reattori, ognuno dei quali genera 950MW, per una produzione totale di 5.700MW, energia sufficiente per quattro milioni di abitazioni.
L’impianto è situato nel sud-est dell’Ucraina, nei pressi della città di Enerhodar, sulle sponde del bacino idrico di Kachovka sul fiume Dnepr. Dista 200 km circa dalla regione del Donbass e 550 km da Kiev.
L’indice Nikkei 225 della borsa di Tokyo ha chiuso in calo del 2,23%; la borsa di Shanghai cede l’1%, Hong Kong perde il 2,56%, Sidney fa -0,57%, Seoul -1,12%.
Giù anche i futures sugli indici Usa, con quelli sul Dow Jones che arretrano dello 0,31% a 33.623 punti, quelli sullo S&P 500 che cedono lo 0,39% e quelli sul Nasdaq che perdono lo 0,47%.
La sicurezza dell’impianto è stata ora “ripristinata”, grazie all’arrivo dei pompieri. Il bombardamento dell’impianto nucleare aveva scatenato un incendio in un reattore nucleare, come comunicato dal portavoce dell’impianto, Andrei Tuz.
“Il sentiment nei confronti del rischio rimane fragile e oscilla a seconda nelle notizie che arrivano dalla Russia e dall’Ucraina, così come a seconda delle notizie sulle decisioni delle banche centrali, che sembrano impegnate ad alzare i tassi, e che stanno anche individuando rischi al rialzo per l’inflazione”, ha commentato Tapas Strickland, economista National Australia Bank, in una nota riporata dalla Cnbc.
Oggi sarà reso noto l’atteso report occupazionale di febbraio: gli economisti intervistati da Dow Jones prevedono una crescita di 440.000 nuovi posti di lavoro e un calo del tasso di disoccupazione al 3,9%. I salari orari sono attesi in crescita del 5,8% su base annua, a conferma di come l’inflazione, negli Stati Uniti, continui a rimanere alta.