Wall Street da bolla dot-com? Mark Cuban dice no e avverte: sarà questo fattore a comunicarci fine rally
Lui è Mark Cuban, proprietario della Dallas Mavericks, imprenditore e investitore miliardario, noto per aver guadagnato miliardi di dollari negli anni del boom hi-tech della fine degli anni 90 – prima che la bolla dot-com esplodesse – partendo da appena 60 dollari in tasca.
Un perfetto esempio del sogno americano, dell’uomo che si fa da solo, self-made man, insomma. Guardando al trend che Wall Street sta riportando, Cuban lo dice chiaramente: questo mercato non ha nulla a che vedere con quello del 1999.
“A quei tempi, i tassi di interesse erano molto diversi -ha detto, intervistato dalla Cnbc – E c’erano molte più persone che partecipavano al mercato…cosa che non succede più ora. (All’epoca), sono state le operazioni di trading individuali e giornaliere a creare la bolla sul mercato”.
Il businessman ha insistito sul fatto che oggi il quadro è completamente cambiato, visto il successo dei fondi indicizzati.
“Ci sono così tanti soldi che si stanno riversando nei fondi indicizzati. E questo significa che, fino a quando questi fondi continueranno a crescere, il mercato continuerà a salire“.
I commenti di Cuban arrivano in un momento in cui alcuni investitori stanno facendo paragoni tra la valutazione attuale del mercato azionario e quella del mercato toro del 1999, che si concluse con lo scoppio della bolla speculativa dot-com. La speculazione selvaggia sui titoli Internet gonfiò il valore del Nasdaq di oltre +500% dal 1995, fino a quando la bolla esplose, nel marzo del 2000.
Tra i grandi nomi del mondo della finanza che temono la ripetizione di quel tipo di bolla, c’è anche l’investitore miliardario Paul Tudor Jones che, intervistato anche lui dalla Cnbc nel corso della trasmissione Squawk Box a Davos, dove sono in corso i lavori del World Economic Forum, ha detto:
“Ci troviamo di nuovo nella fase della storia più pazza di politica monetaria e fiscale. E’ una cosa talmente esplosiva che va al di là di ogni immaginazione”.
Quale potrebbe essere la prova di una similitudine tra questo tipo di mercato e quello degli anni Novanta? “All’inizio del 99 il PCE degli Stati Uniti era pari all’1,6%, mentre l’indice dei prezzi al consumo era pari al 2,3%. Sono gli stessi valori che abbiamo oggi”, ha detto Paul Tudor Jones.
Cuban ha fatto notare tuttavia che c’è una importante differenza tra oggi e la fine degli anni Novanta, oltre al boom dei fondi indicizzati. Differenza che è stata riconosciuta, c’è da dire, anche da Paul Tudor Jones: il valore dei tassi di interesse che, nel primo semestre del 1999, erano pari al 4,75%, a fronte del range attuale, compreso tra l’1,5% e l’1,75%.
Partendo da questo, Cuban ritiene che saranno proprio i tassi di interesse, alla fine, a decidere il destino del mercato azionario, che continua a salire dopo un ottimo 2019. D’altronde, si è chiesto, fino a quando rimarranno così bassi,”in quale altra parte puntare i vostri soldi? E’ logico che i soldi continuino a riversarsi nel nostro azionario, nel nostro mercato”, ha detto, riprendendo anche la frase di un suo amico che ha paragonato i bassi tassi di interesse al reddito minimo “per gente ricca”.
“Io credo che saranno i tassi a dirci cosa accadrà al mercato. Se siamo a rischio bolla? Sicuramente se ne può discutere. Se è come il 1999? La risposta è no”.
Vale la pena ricordare che lo S&P 500 è salito del 3% dall’inizio dell’anno, dopo un +29% nel 2019, il miglior guadagno su base annua dal 2013.