Petrolio appeso a sviluppi conflitto, Cina-Covid e nucleare Iran. Tornano in auge anche colloqui Arabia Saudita-Cina su petroyuan
Il mercato petrolifero non perde appeal. Anzi, continua a restare in primissimo piano sui mercati dopo i rumors, rilanciati da “The Wall Street Journal”, del petroyuan che si rincorrono da diversi anni e sono tornati alla ribalta nelle ultime ore. Secondo quanto riportato dal quotidiano Usa l’Arabia Saudita è in trattative con Pechino per valutare l’utilizzo dello yuan nella vendita di petrolio alla Cina. Una mossa che andrebbe ad intaccare il dominio del dollaro Usa sul mercato petrolifero globale.
“I colloqui con la Cina sui contratti petroliferi a prezzo di yuan sono andati avanti per sei anni, ma quest’anno hanno subito un’accelerazione poiché i sauditi sono sempre più insoddisfatti dei rapporti con gli Stati Uniti”, si legge sul WSJ. “Se ne parla da anni, ma nulla si è mai materializzato. Tuttavia, con le relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita sempre più tese, potrebbe valere la pena prendere più seriamente questi potenziali colloqui“, sottolineano da ING. Una questione che avrebbe impatti considerevoli sul mercato del petrolio su scala globale che da sempre usa il biglietto verde come valuta ufficiale. La Cina acquista più del 25% del petrolio che l’Arabia Saudita esporta. Si tratterebbe di un cambiamento profondo per l’Arabia Saudita valutare anche solo alcuni dei suoi circa 6,2 milioni di barili al giorno di esportazioni di greggio in qualcosa di diverso dai dollari. WSJ spiega che la maggior parte delle vendite globali di petrolio – circa l’80% – vengono infatti effettuate in dollari, e dal 1974 i sauditi commerciano il petrolio esclusivamente in dollari dal 1974, in un accordo con l’amministrazione Nixon che includeva garanzie di sicurezza per il regno.
Alcuni numeri
Intanto le relazioni economiche tra Stati Uniti e sauditi si stanno allentando. Secondo la US Energy information administration, all’inizio degli anni Novanta, gli Usa importavano 2 milioni di barili di greggio saudita al giorno rispetto ai meno 500mila barili al giorno nel dicembre 2021. Al contrario, le importazioni di petrolio della Cina sono aumentate negli ultimi tre decenni, in linea con la sua economia in espansione. Stando ai dati dell’Amministrazione generale delle dogane in Cina, l’Arabia Saudita è stata il principale fornitore di greggio della Cina nel 2021, vendendo a 1,76 milioni di barili al giorno, seguita dalla Russia con 1,6 milioni di barili al giorno. “Le dinamiche sono cambiate radicalmente. Le relazioni degli Stati Uniti con i sauditi sono cambiate, la Cina è il più grande importatore mondiale di greggio e sta offrendo molti incentivi redditizi al Regno“, ha affermato il quotidiano Usa, citando un funzionario saudita.
Petrolio e le questioni sul tavolo
Intanto il petrolio recupera terreno questa mattina, dopo le recenti flessioni. Il Wti sale di oltre l’1,5% poco sotto 98 dollari al barile, mentre il Brent guadagna circa il 2% e si riporta a ridosso dei 103 dollari. Ieri i prezzi dell’oro nero hanno continuato il loro calo, con il Brent che ha chiuso al di sotto di 100 dollari per la prima volta da fine febbraio. Il mercato ha mostrato una contrazione di circa il 28% da quando il 7 marzo è stato toccato il massimo intraday di 139,13 dollari al barile.
“Al momento, il mercato sembra essere concentrato su due sviluppi. Il primo è la situazione Covid in Cina. Mentre Shenzhen è in lockdown da un paio di giorni, si iniziano a vedere restrizioni più severe in altre città – rimarcano gli esperti di commodity di ING nel consueto commento giornaliero -. In secondo luogo, sembra possano esserci progressi nei colloqui sul nucleare iraniano“. Intanto ieri l’Opec ha pubblicato il suo rapporto mensile sul mercato petrolifero, lasciando invariate le previsioni di crescita della domanda di petrolio per il 2022. Anche se ha evidenziato rischi al ribasso dato il conflitto in corso tra Russia e Ucraina.