M&A: Italia meta ambita dai fondi di private quity
Resilienza è la parola che caratterizza il business nel 2019 nonostante la volatilità dell’attività economica che ha portato molte aziende ad adottare una posizione recessiva. Lo dimostrano i numeri contenuti nel secondo rapporto annuale sulle fusioni e acquisizioni aziendali di Bain & Company da cui emerge che il valore delle operazioni di M&A a livello globale ha toccato l’anno scorso i 3.400 miliardi di dollari, sebbene il loro numero sia stato del 2% inferiore rispetto ai livelli registrati nel 2018.
M&A: attività in calo in Ue e Asia
Guardando alle aree geografiche, l’attività di M&A in Europa e in Asia è calata nella prima metà dell’anno, per poi riprendersi. Al contrario, gli Stati Uniti, che hanno iniziato l’anno con vigore, si sono successivamente stabilizzati. E l’Italia? “Il nostro paese, dice Roberto Prioreschi, managing director di Bain & Company in Italia, ha archiviato un solido 2019, presentando – in termini di mercato dell’M&A – dinamiche molto simili a quelle globali”. “I fondi di private equity – continua Prioreschi – sono particolarmente interessati al mercato italiano, fatto di realtà medio-piccole che presentano un alto tasso di innovazione. Il settore dove l’Italia è stata terreno di conquista è stato quello della moda e del lusso, uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy, che sconta però la mancanza di gruppi in grado di fare da poli aggreganti”.
I fattori che hanno ridotto l’interesse per fusioni e acquisizioni
Se l’attività di M&A è ancora solida, lo scenario regolamentare di riferimento sta cambiando continua il rapporto secondo cui sul fronte sociale, la preoccupazione per il potere delle grandi aziende tecnologiche ha portato i legislatori ad esaminare più attentamente gli accordi.
Sul fronte geopolitico, le tensioni commerciali e la Brexit hanno ridotto significativamente (-31%) l’appetito per gli accordi interregionali durante i primi nove mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018, a conferma del trend negativo che, negli ultimi tre anni, ha interessato il volume di questa tipologia di accordi. La ragione fondamentale di molti accordi, si legge nel rapporto, si è ora spostata verso un orientamento di scope, guardando anche all’entrata in settori di attività in rapida crescita o all’acquisizione di nuove competenze – digitali e non – per rafforzare il business esistente o per innovarlo. Gli scope deal sono promettenti, rappresentando oggi circa il 60% di tutte le operazioni strategiche di valore superiore al miliardo di dollari (rispetto al 40% registrato nel 2015).
“Le operazioni M&A di scope hanno accelerato negli ultimi cinque anni in risposta a un ambiente che è cresciuto poco e alla disruption del modello di business in diversi settori, in particolare sanità, tecnologia e prodotti di consumo” ha commentato Andrei Vorobyov, co-autore del report e M&A expert per l’Europa. “Abbiamo finalmente visto che molti dirigenti stanno spostando i loro portafogli da attività tradizionali di successo ma con una crescita più lenta a nuovi motori di crescita. Stanno anche aggiungendo nuove funzionalità, in particolare digitali, come l’esperienza del cliente omnichannel, l’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data o la robotica, per guidare la crescita.”.