Intesa SanPaolo, Banco BPM e il rischio Russia. Le due banche costrette a mettere le mani avanti
Intesa SanPaolo e Banco BPM sono state costrette entrambe a mettere le mani avanti, avvertendo i rispettivi azionisti delle conseguenze che la guerra in Ucraina potrebbe avere sui loro risultati di bilancio.
L’AD di Intesa Carlo Messina, in un intervento alla conferenza organizzata da Morgan Stanley riportato da Bloomberg, ha ammesso di fatto che il target sull’utile del 2022, fissato a 5 miliardi di euro, è a rischio, e che al momento è oggetto di revisione.
Nel frattempo, da Credit Suisse a JP Morgan, gli analisti fanno il loro lavoro, presentando i loro rispettivi worst case scenario sulle conseguenze che la guerra avrà sul settore bancario (e non solo).
Riguardo a Intesa SanPaolo, nella nota odierna Equita SIM ha messo in evidenza che Messina ha comunque confermato “i target di piano di medio termine, la dividend policy e il buyback”. Il ceo ha anche detto che “l’impatto della guerra in Ucraina è assolutamente gestibile per la banca, che in ogni scenario sarà in grado di fornire un buon livello di redditività”.
I dividendi rimangono insomma blindati, con la conferma del “target di payout ratio del 70% e l’intenzione di pagare il buyback (3,4 miliardi). Per quanto riguarda il 2022 invece, la società sta valutando quali saranno effettivamente gli impatti attesi e quindi ad oggi non è in grado di confermare il target di utile di 5 miliardi“, riporta ancora Equita.
A tal proposito, vale la pena di ricordare che Equitaha un rating “Buy” sul titolo Intesa SanPaolo, e un target price pari a 3,2 euro, a fronte del 2,06 a cui il titolo Intesa viene scambiato. Le quotazioni della banca ieri non hanno infatti gradito le dichiarazioni di Messina, chiudendo ieri a Piazza Affari in calo del 3,5%.
Dal canto suo, la SIM milanese ha ricordato che nel worst case scenario l’impatto sul capitale di Intesa sarebbe di -80 punti base, e che al momento il titolo tratta con un 2022 P/TE = 0.76x. “Riteniamo che l’esposizione a Russia-Ucraina per ISP sia ben gestibile e che il suo business model permetta a ISP di essere un profilo resiliente anche a fronte di uno scenario economico incerto”, ha scritto Equita.
Proprio qualche giorno fa Intesa SanPaolo aveva fornito in dettaglio i numeri relativi alla sua esposizione nei confronti della Russia e anche dell’Ucraina. La banca italiana lascerà Mosca? Bloomberg rimarca che Messina, ha sottolineato che, anche se una ritirata dal paese sarebbe ragionevole dal punto di vista geopolitico, dal punto di vista pratico non sarebbe poi molto semplice da realizzare, in quanto non sarebbe semplice trovare un buyer disponibile ad acquistare i suoi asset.
Per ora gli azionisti tirano comunque un sospiro di sollievo: il payout dividend del 70% è salvo.
Stime più precise sull’impatto della guerra sull’utile netto del 2022 arriveranno a questo punto con la pubblicazione dei risultati del primo trimestre dell’anno. Intesa è esposta verso la Russia e l’Ucraina per un valore di 5,1 miliardi di euro, dei quali 1,1 miliardi erogati tramite banche locali e 4 tramite la casa madre. Gli analisti intanto fanno qualche conto.
In un articolo pubblicato oggi, il Sole 24 Ore riporta le stime di Credit Suisse che, “nello scenario estremo di una perdita totale delle due partecipate e dell’azzeramento delle esposizioni verso i due Paesi” indicano per Intesa SanPaolo una “perdita fino a 125 punti base sul Cet 1 ratio. Partendo da una posizione di capitale del 14% a fine 2021, la perdita abbatterebbe il Cet 1 al 12,75%, comunque al di sopra del 12% fissato come target dal management. Se questo fosse lo scenario, nessun impatto ci sarebbe sul dividendo cash mentre il buyback scenderebbe da 3,4 a 2,3 miliardi“. Si tratta di uno scenario estremo visto che, “in caso di recuperi al 50%, invece, la banca avrebbe spazio per confermare interamente dividendo e buyback, riducendo però l’ammontare complessivo della creazione di valore prevista a piano al 2025 da 22 a 18 miliardi“.
Un worst case scenario su Intesa SanPaolo è stato presentato anche dagli analisti di JP Morgan che, nel peggiore dei casi, stando a quanto riportato da Reuters, hanno paventato una perdita sul capitale core di 140 punti base, avvertendo che la banca potrebbe sopportare un abbattimento di 0,80 punti percentuali prima di avvicinarsi al target fissato dal management, pari per l’appunto al 12%.
Nel caso di UniCredit, la banca stessa di Piazza Gae Aulenti ha comunicato di prevedere nel suo worst case scenario provocato da una eventuale azzeramento della sua esposizione verso la Russia una perdita di 7,4 miliardi di euro.
Pur confermando i dividendi per il 2021 come emerso di recente dalle dichiarazioni dello stesso AD Andrea Orcel, UniCredit ha precisato di recente che la sua proposta di un buyback da 2,6 miliardi di euro dipende dalla condizione che il capitale core rimanga al di sopra della soglia del 13%.
Occhio a quanto ha detto Orcel anche riguardo alla possibilità di avviare operazioni di M&A, ovvero di fusioni e acquisizioni, nell’attuale contesto di guerra e soprattutto all’annuncio clou del ceo: quello della possibile ritirata dalla Russia.
A tal proposito, vale la pena di leggere la lettera agli azionisti di Andrea Orcel, il cui contenuto è stato diffuso nelle ultime ore.
A lanciare un avvertimento sull’impatto della guerra sui suoi conti è stata ieri anche Banco BPM, che non ha escluso di dover procedere a una revisione delle stime
“Tenuto conto degli elementi di assoluta aleatorietà riguardo l’evoluzione del conflitto e delle sue conseguenze sugli scenari macro-economici allo stato difficilmente prevedibili, non è possibile escludere di dover rivedere nel corso del 2022 le stime dei valori di bilancio, alla luce delle nuove informazioni che si renderanno disponibili”, si legge nel progetto di bilancio della banca. Banco BPM ha tuttavia rassicurato sul fatto di non prevedere “impatti significativi” dalla sua esposizione verso la Russia, definita “estremamente limitata”, in quando pari “a meno dello 0,1% del totale delle attività per cassa e dei crediti di firma”. Per la precisione, l’esposizione consiste in finanziamenti e titoli per 87 milioni e crediti di firma per 44,6 milioni, per un totale di 131,4 milioni.
Piazza Meda ha assicurato che “aggiornerà il mercato” quando “ci sarà più chiarezza sull’evoluzione della crisi internazionale e sulle possibili ricadute sulla crescita macroeconomica”.
Il titolo Banco BPM non l’ha presa tuttavia bene ieri, e non la prende bene neanche oggi, riportando una seduta negativa a Piazza Affari.
Non si può non ricordare il peccato originale delle banche italiane che sono tra le più esposte , tra quelle europee, alla Russia di Vladimir Putin.
Vale la pena ricordare che, l’annessione della Crimea da parte della Russia, avvenuta nel 2014, ha portato diverse banche di tutto il mondo a tagliare la loro esposizione verso il regime di Vladimir Putin. Non le banche italiane e austriache che, dal 2015, stando ai dati della BRI compilati da Bloomberg Intelligence, hanno incrementato gli affari nel paese.
Le banche francesi sono state invece più caute, sebbene, pur riducendo l’erogazione dei prestiti, il colosso francese Société Générale abbia continuato per esempio ad avere una presenza significativa in Russia.
Entro la fine del 2016 la tedesca Deutsche Bank aveva inoltre già ridotto la propria esposizione verso la Russia di quasi il 70% dai 7,9 miliardi di euro del 2012, dopo aver chiuso una sua divisione sulla scia di uno scandalo legato ad attività di riciclaggio di denaro sporco; l’americana Morgan Stanley aveva detto addio nel 2019 alla licenza bancaria russa.
Negli ultimi giorni, Deutsche Bank ha deciso di dire addio alla Russia, seguendo l’esempio di Goldman Sachs, JPMorgan Chase e HSBC, che la scorsa settimana hanno annunciato tutte un piano per dire basta alla loro operatività in Russia.